“In Brasile si attua una politica di carcerazione di massa. Anche se i dati sono sottostimati dai governi statali (il Brasile è una federazione di stati, ndr) e dalle autorità, i numeri fanno rabbrividire. Dal 1990 al 2014 il numero delle persone detenute nelle carceri brasiliane è aumentato del 580 per cento, da 90 mila a oltre 622 mila”. Chiama le cose con il loro nome, il rapporto della Commissione nazionale della pastorale carceraria della CNBB, la Conferenza dei vescovi brasiliani. Ne hanno discusso tra loro, a partire dallo shoccante racconto della strage nel penitenziario “Anisio Jobim” di Manaus, capitale dello stato di Amazonas, da parte di don Gianni Poli. “Il numero ufficiale delle vittime è 60, ma è probabile che siano molte di più. Mancava un piano delle autorità per fronteggiare una tale situazione. E la privatizzazione delle carceri – quello di Manaus è in gestione alla ditta Humanizare, che ha dato sostegno alla campagna elettorale di alcuni deputati, è risaputo – sta coagulando un coacervo di interessi, che non vanno certo nella direzione di una umanizzazione della pena, tutt’altro”.
L’ondata di violenza registrata all’inizio dell’anno – dopo la strage di Manaus, in una rivolta nella prigione di Boa Vista sono stati uccisi almeno 33 detenuti – ha portato alla ribalta internazionale un sistema che fa acqua da tutte le parti. Con i suoi 662 mila detenuti il Brasile ha la quarta maggiore popolazione carceraria del mondo, che dal 1990 al 2014 è aumentata del 580%.
Il sovraffollamento alimenta la violenza e la divisione in bande, che all’interno delle istituti gestiscono un’amministrazione parallela. Gli omicidi sono all’ordine del giorno. “Chi entra in carcere è costretto ad affiliarsi a una delle famiglie criminali”, rimarca padre Fausto Beretta, comboniano. “Le prigioni – aggiunge don Gianni Poli – sono gli uffici commerciali e le agenzie di collocamento delle bande criminali”.
Padre Gianfranco Graziola, missionario della Consolata, vice presidente della Commissiona nazionale della pastorale carceraria della CNBB, interpellato da Radio Vaticana nei giorni successivi alla strage di Manaus, ha espresso la preoccupazione della Chiesa: “La situazione è allarmante, siamo di fronte alla totale mancanza di umanità. Chi entra in carcere rimane marchiato per tutta la vita. Il carcere svuota la persona, la priva della capacità di organizzare disporre la propria vita”. Ad aggravare la situazione potrebbe arrivare l’approvazione di un disegno di legge che propone di abbassare l’età carcerabile, con il risultato, prevedibile, di un maggiore affollamento di carceri che già scoppiano.
Eppure anche nel Brasile delle stragi di Manaus e Boa Vista non mancano esperienze che mostrano la possibilità di percorrere strade alternative. E' il caso delle Apac, le Associazioni di Protezione e Assistenza ai Condannati sostenute dall'Avsi anche con fondi dell'Unione Europea: carceri senza armi, che da anni presentano risultati interessanti. La recidiva – la commissione di reati da parte di chi, scontata la pena, è uscito dal carcere – scende fino al 20 per cento, rispetto alla media brasiliana che sfiora l’80 per cento. E' un'alternativa al carcere meno costosa e più umana, praticata dai tribunali di 17 Stati.
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