“La giovane impresa”

«8 marzo? Vedo una donna cercata e valorizzata in un’ottica di complementarità».

«Priorità di mandato? Partecipazione, formazione, apertura»

«Il mercato? Una volta era il pesce grande a mangiare quello piccolo, oggi è il più veloce a vincere».

«L’appesantimento burocratico complessivo non facilita l’iniziativa imprenditoriale. Molti devono per questo rinunciare»

Benvenuta in onda Stefania. Contenta di essere cresciuta a Sopramonte?

Sì, assolutamente, questa felicità la sento più forte ora dopo aver fatto esperienze all’estero. Ho capito che aver passato la fanciullezza in un paesino mi ha permesso di vivere e interiorizzare alcuni valori tipici di una comunità semplice: attaccamento alla terra, umiltà, amore per la natura e gli animali, che mio padre fin da piccola mi trasmise. Ora vivo in città a Trento ma gli affetti, la famiglia, gli amici rimangono a Sopramonte.

Ha avuto un ruolo suo padre nei suoi sogni di bambina? Voleva fare un lavoro simile?

Si certo fin da piccola, come tutti i figli di imprenditori, ho respirato l’aria aziendale; mio padre era un punto di riferimento forte. E da piccola sognavo di diventare veterinario: in casa giravano queste persone col camice bianco e mi piacevano tanto, a ciò si aggiunge l’esperienza di una cara amica che ha un azienda agricola con la stalla. A chi mi chiedeva cosa volessi fare da grande rispondevo: il veterinario, ma di “animali vivi”. Le cose poi sono andate diversamente, dopo il diploma mi iscrissi a economia a Trento, era una buona facoltà, con vari sbocchi, permetteva di approfondire temi legati alla comunicazione e al marketing, che in quegli anni mi interessavano sempre più.

È stato automatico il passaggio nell’azienda di famiglia o ha valutato altre ipotesi?

Avrei avuto la possibilità di lavorare a Londra in un’agenzia finanziaria. Ci ho pensato molto, ma alla fine la scelta è ricaduta sul tornare in azienda, c’erano buone opportunità anche qui.

Siamo alla vigilia dell’8 marzo, cosa le dice questo appuntamento (se le dice qualcosa)?

In quanto donna ritengo sia una ricorrenza molto importante non solo per il mondo femminile: è un’occasione per pensare al valore della donna, fonte di vita, e nel contesto dell’emancipazione è sempre bello pensare che è riconosciuta negli ambienti lavorativi; per nostra fortuna non ci sono più differenze e discriminazioni, anzi la donna viene cercata e valorizzata in un’ottica di complementarità.

Nella vostra azienda, la presenza femminile?

Una quarantina di donne, 30-40%, per noi sono un valore aggiunto. Su questo mio padre fu lungimirante fin da giovane: anche negli anni 60, quando era più difficile pensare a donne con responsabilità in campo aziendale, lui non fece mai discriminazioni. Le sue prime collaboratrici all’inizio dell’attività furono infatti due donne: mia nonna e mia madre.

Conciliare lavoro e famiglia: resta tema problematico?

No assolutamente, è una ricchezza. Bisogna certo riconoscere che la donna, se vuole investire tempo anche nella famiglia, deve impegnarsi molto, le ore di sonno che rimangono sono poche. Ma le aziende vengono incontro alle donne, noi ad esempio lasciamo più flessibilità.

Una donna alla guida dei giovani industriali conferma una tendenza al femminile, dopo la presidenza di Confindustria a Ilaria Vescovi…

Ilaria Vescovi è stata una grandissima presidente, rimane per me un punto di riferimento e di confronto. Il fatto che ai vertici ci siano figure femminili è un indice di maturità della società. Non ne farei però una questione di genere, ci si basa sempre sulle qualità personali, quindi se Ilaria ha fatto un buon mandato non è sicuramente perché è donna, ma per le sue caratteristiche personali.

Veniamo all’azienda Segata Salumi: un marchio nato sessant’anni fa. Intuito paterno?

Dopo un’esperienza di garzone in città, dove imparò l’arte del macellaio, mi padre decise nel ‘56, a soli vent’anni, di aprire una macelleria nel paese d’origine. Era autonomo in tutto: acquisti, vendite, servizio al banco, conti. Il segreto sta nella sua caparbietà e nel suo coraggio. Con perseveranza e tanti sacrifici, visto che lavorava anche 18 ore al giorno.

C’è una tecnica di lavorazione dei salumi che vi caratterizza?

La tecnica di affumicatura che utilizziamo è naturale, e non è scontato, ci sono anche affumicature chimiche. Bruciamo trucioli di faggio con ginepro ed altre spezie che danno al prodotto un aroma particolare, ma delicato.

Il mercato cosa vi sta restituendo?

Non è semplice, soprattutto alla luce delle ultime tendenze. Stiamo cercando di adattarci mantenendo la nostra tipicità: abbiamo una nuova linea di prodotti a base di carni bianche, pollo e tacchino, che rispondono maggiormente alle richieste salutiste e anche a quelle etniche: la comunità mussulmana è un grande cliente di queste carni, non potendo consumare carne suina. L’obiettivo di far conoscere i nostri prodotti all’estero; siamo partiti con il commercio europeo, iniziando dalla Germania, ora si vorrebbe procedere oltreoceano.

A proposito di multi-etnicità, la vostra azienda ha fatto notizia per questa caratteristica. Nel concreto?

Negli anni Novanta siamo stati precursori con l’assunzione di collaboratori stranieri. In quegli anni effettivamente si faticava a reperire manodopera disposta a fare anche lavori più faticosi; negli anni si è visto poi che queste persone erano assolutamente adeguate a lavorare con noi, non abbiamo mai rilevato problemi di razzismo, anzi è molto bello vedere in pausa pranzo tante nazionalità (ad oggi ne abbiamo più di 20 da tutti i continenti) che mangiano tutte assieme, sono nate delle amicizie. E professionalità qualificate.

Come si è avvicinata a Confindustria?

Nel 2007, quando cominciai a lavorare in azienda, mio padre quasi mi obbligò ad entrare nel gruppo dei giovani industriali di Confindustria. Lui ha sempre creduto nell’associazione, che ci rappresenta a livello politico e istituzionale, ma favorisce anche il confronto fra imprenditori.

Si è data una priorità di mandato da presidente dei giovani industriali?

I tre pilastri del programma: comunicare e trasmettere in maniera più forte i valori della nostra associazione che sono la rappresentanza, l’associazionismo, ma anche il valore della funzione economica e sociale dell’imprenditore. Secondo: mi piacerebbe offrire agli associati momenti di formazione professionale e umana, cruciale in un mondo in continua evoluzione. Terzo pilastro: l’apertura, caratteristica di noi giovani, con i colleghi imprenditori a livello regionale, nazionale e internazionale.

C’è chi dice che non si debba neanche più parlare di crisi, ma di nuova normalità, che ne pensa?

Sono d’accordo, parlare di crisi non è corretto; stiamo vivendo un cambiamento epocale, ora in assestamento, sicuramente le aziende dovrebbero cavalcare il cambiamento e non subirlo. La ricetta per noi è stata rimettersi in discussione, pensando prodotti per incontrare le nuove esigenze di mercato. Una volta era il pesce grande a mangiare quello piccolo, oggi è il più veloce a vincere.

Qual è il principale freno allo sviluppo industriale nella realtà trentina?

Si vede un gap tra le aziende che hanno saputo rinnovarsi e quelle che non l’hanno fatto, il principale freno è la preclusione a orientarsi verso nuove strategie basate su innovazione ricerca sviluppo internazionalizzazione.

In Trentino politica e imprenditoria in che rapporto stanno?

L’apparato governativo è ben predisposto nei nostri confronti e ha capito molto l’importanza dell’industria. Ci piace ricordare che uno su tre degli occupati è nel settore dell’industria e un terzo del PIL provinciale proviene dall’industria. Certo è che un appesantimento burocratico complessivo non facilita l’iniziativa imprenditoriale; in alcuni casi realtà aziendali molto propositive hanno dovuto rinunciale a investire nel territorio per via di questi appesantimenti.

Giudica conciliabile la dottrina sociale cristiana con gli interessi e doveri di un imprenditore?

Non solo è possibile ma deve essere così, l’imprenditore è consapevole di avere non solo un ruolo economico nella società ma anche sociale. Con i colleghi imprenditori stiamo sempre più adottando dei codici etici con delle linee guida che facciamo sottoscrivere a tutti i collaboratori: si basano su rispetto della persona della dignità dei collaboratori, e sul supporto ad azioni sul territorio per sostenere la comunità nella quale l’azienda opera.

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