Un libro presentato in questi giorni a Manaus, nell'Amazzonia brasiliana, è un atto di riconoscenza nei confronti di don Claudio Dalbon, don Mario Filippi e don Luigi Giuliani
In questi giorni a Manaus, città-cuore dell’Amazzonia brasiliana, si è fatta memoria di tre preti trentini "fidei donum” – come si dice – con la presentazione di un nuovo libro sulla missionarietà diocesana. Il libro parla della vita che diventa più incisiva quando la doniamo. Il Vangelo annunciato per la vita dei popoli indigeni detribalizzati delle foreste e l’epopea urbana degli anni Novanta in un Brasile cambiato dall’avidità e dalla voracità dei signori del latifondo. La storia non dimenticata di popolazioni rurali, arrivate da ogni angolo, a comporre formicai umani nelle “occupazioni” delle periferie. Il racconto accurato e appassionato della più grande "comunità di comunità” al nord di Manaus, l’antica città dei soldati della gomma, l’ammirata metropoli al tempo del boom del caucciù, visitata perfino dal mitico cantante italiano Enrico Caruso. Pacchia ingannatrice e passeggera.
Il libro “Guerreiros do barro” (“Guerrieri del fango”) è un atto di riconoscenza nei confronti dell’indimenticato don Claudio Dalbon, condiscepolo di Charles de Foucauld, di don Mario Filippi e del paladino dei diritti umani don Luigi Giuliani. Tutti e tre, trentini, approdarono negli anni Novanta del secolo scorso nell’Area missionaria San Francesco, a Manaus.
Il libro è curato dalla missionaria laica Anna Janicy Oliveira Mock, ispirata anche dal bel testo del 2000 “Cittadini dell’infinito” di don Gianpaolo Giovanazzi. Conoscere questo libro-testimonianza è come bere oggi alla fonte di acqua limpida della missione “alle genti”. La periferia – si sa – è come la ribalta del popolo giovane e adolescente delle occupazioni di terra, attore e protagonista di questo tipo di realtà, nel bene e nel male, perché assetato di vita, di voglia di vivere, di desiderio di riuscire, nella città avara di spazio per le famiglie: città-bambina, cresciuta senza adolescenza, diventata improvvisamente adulta, senz’acqua da bere e senza salute di base, mescolanza di umanità ferite e sofferenti. Però, pure scuola di vita e crogiolo di culture, convivialità delle differenze, tavolo della Parola vissuta, casa della celebrazione ospitale, catechesi del futuro. Un piccolo continente tutto da scoprire.
Il libro è una cronaca ben scritta, piena di "sprint" biblico e umano, della vita dei “tre lavoratori del Vangelo” (come i tre della quercia di Mambre?), venuti dal sud al nordest della "terra brasilis". Saliti a sporcarsi le mani, coi piedi nel fango. Citiamo un passo: ”Passati alcuni mesi, finalmente il cielo offriva le prime e potenti nuvole di pioggia. Nuvole, si fa per dire. Erano vere tempeste! Immaginate una tempesta di vento e pioggia in luoghi senza vegetazione. Quando il vento soffiava e batteva su quelle terre senza confine, vedevi la gente bagnarsi di sabbia fangosa, per non parlare della sporcizia. Da lontano vedevi i tetti di latta volare nel turbinio del vento… Era bello, però, bagnarsi sotto la pioggia, benvenuta nonostante tutto; ci divertivamo a correre sotto lo scrosciare dell’acqua rinfrescante e generosa, sulle strade infangate… Il problema era il dopo, il fango appiccicato alle scarpe” (pag. 38). E’ questa l’area della missione cittadina di oggi: ”Francesco, va’ e ricostruisci la mia casa!”. L’area missionaria si trasforma poco a poco nel luogo del coraggio di vivere, con innumerevoli programmi coi quali imparare a riprendere il significato e la dignità dei viventi, far sbocciare il desiderio di amare e la volontà di consumare "l’esistenza in uscita" nell’oblio di sé. L’offerta della propria vita in zone di morti annunciate. Fiori che nascevano dalle discariche piene di storie da raccontare. Mamma mia, quante storie! La periferia benedetta (e maledetta?), miscellanea di tenacia e di gioia, anche se intanto, a Brasilia, la più bella città del mondo, i signori epuloni delle terre pianificano e banchettano.
Bellissime le pagine scritte di proprio pugno da don Claudio Dalbon, il biblista dei tre, a commento di due testi della Genesi, quelli della costruzione della città e della torre: ”Siamo entrati come Abramo nella terra e nella storia di questa gente, che ha nomi concreti e pieni di significato” (pag. 73-75). E così pure le pagine riservate al meritato curriculum di don Mario Filippi, giunto a Manaus dal lontano Stato di Rio Grande, una vocazione da prete operaio, compagno di don Claudio nei gironi della fame a Recife, Chiesa amata di Dom Helder Camara. Poi, il viaggio fino all’area missionaria San Francesco, vivendo e dando testimonianza di vicinanza alla comunità, andando ad abitare in una piccola baracca, per annunciare, silenziosamente: ”Vedete, sono uno di voi!”.
Verrebbe voglia di intonare a ognuno di loro, con l’autrice del libro: ”Se mettono a tacere la voce dei profeti, le pietre grideranno…”, il canto di quelle comunità intrepide.
Don Luigi Giuliani – padre Luis – ha nel libro uno spazio notevole, a quell’epoca è come il padre di famiglia che fa da sveglia all’inizio di ogni giornata, prepara il caffè e il programma delle attività, sempre accompagnate dalla luce e dal sale della spiritualità biblica. Pioggia, fango e “pacioca”, ma coraggio “para dar e vender”. Animatore di comunità-sorelle: le “galere” (le gang giovanili), cercate da lui di notte, per rappacificarle; il gruppo Fenix; il movimento “Maria senza vergogna” delle donne; i gruppi di produzione del reddito; il “movimento sempre giovane”, Mococi; l’ONG delle periferie; la radio comunitaria, la prima approvata dal governo brasiliano, voce dell’emergere impavido delle comunità manoara.
Il libro, scritto nel portoghese multirazziale del Brasile, attende ora una sollecita traduzione in italiano.
Il motto dei tre “fratelli del mondo” può diventare anche nostro: ”Gli altri sono importanti almeno quanto me!”.
don Francesco Moser
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