Quando si vedono le immagini disperanti di un uomo nelle condizioni del dj Fabo a letto, cieco e tetraplegico, a parlare sono soprattutto le emozioni forti, il senso di solidarietà e la nostra stessa paura del dolore e della morte amplificate dalla grancassa del sistema di comunicazione di massa. Non sembra proprio questo il momento per riflettere con pacatezza sulla questione generale e su una eventuale legge sulla fine della vita la cui discussione è programmata in Parlamento.
Eppure lo stesso dj Fabo, prima di farsi accompagnare in Svizzera per essere aiutato al suicidio dove tale pratica non è punita per via di una sorta di escamotage, aveva chiesto pubblicamente una legge sul fine vita. E ora anche i giornali più seguiti, mentre ne annunciano la morte, chiedono l’approvazione di una legge. Ma quale legge?
Purtroppo il dibattito tende a ingrigire ogni distinzione e a ridurre tutte le questioni all’idea che ognuno è proprietario del proprio corpo e quindi ha diritto di ottenere che ciò che vuole. Ma il medico non è l’esecutore di qualunque volontà delle persone, la sua professione è definita da degli scopi e si può ben discutere che tra questi ci sia anche il dare la morte. In Inghilterra, recentemente il Parlamento ha respinto la proposta di una legge che avrebbe previsto l’assistenza al suicidio da parte dei medici. Si è preferito lasciare che i medici rimanessero operatori della salute, non soggetti abilitati a dare la morte. Non sappiamo come andrà a finire in Italia, speriamo almeno che il dibattito non si contamini di quella contrapposizione fra laici e cattolici che di solito impedisce alle ragioni di essere ascoltate, lasciando il campo ai pregiudizi. In gioco sono valori fondamentale come la solidarietà e la dignità umana. E come li sappiamo interpretare.
Andrea Nicolussi
docente di diritto all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
membro della Comitato Nazionale per la Bioetica
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