L’esperienza del dono

Parola chiave “grazie”. Riflessioni sull’educazione con Elena Pulcini: “Il dono e la cura sono le forme più elevate di capacità empatica e non si tratta di un puro sentire, ma di una risorsa preziosa contro l'individualismo oggi dominante”

Come si insegna a riconoscere il valore del dono, che si esprime nella cura gratuita dell'altro, delle relazioni, del mondo che ci circonda, imparando a essere riconoscenti in quanto parte di esso e perciò a dire grazie? Cura della vita in ogni manifestazione, gratuità nel donare, gratitudine per ciò che si riceve sono strettamente interconnesse, assunti educativi da ritrovare e preservare in un'epoca in cui i "Mi piace" che affollano le pagine dei social network rappresentano un castello di identità fragili, virtuali. Alla parola "grazie" e alle molteplici sfaccettature del dono è stato dedicato l'intervento di Elena Pulcini, professoressa ordinaria di Filosofia Sociale presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università di Firenze, nel secondo incontro del ciclo sull'educazione promosso dal Collegio Arcivescovile svoltosi venerdì 17 febbraio.

“Secondo l’antropologo Marcel Mauss (1872-1950), autore de il Saggio sul dono, il dono implica un ciclo, dare-ricevere-ricambiare, e non c’è se manca uno di questi tre momenti: l’atto del donare, la capacità di ricevere e la possibilità di ricambiare”, ha esordito la docente.

"Siamo immersi nella logica del do ut des, dello scambio simmetrico, equivalente, invece quando dico grazie, sto rispondendo ad un dono, un atto gratuito che non chiede restituzione immediata e che mobilita le emozioni, la generosità di chi dona e la gratitudine di chi riceve, e porta fuori dalla logica oggi dominante dell'utile".

Concepire il soggetto indipendente dagli altri, rimuovendo l'idea della relazione con l'altro come costitutiva, è solo una difesa: "Hannah Arendt sosteneva che ci siamo rifugiati nella figura dell'homo faber, artefice di se stesso, rinunciando alla politica perché il fare insieme è una dimensione incerta, che fa paura". Tuttavia le neuroscienze hanno scoperto ciò che la filosofia aveva già capito nel '700: "Siamo animali sociali, capaci di empatia, ossia di metterci nei panni dell'altro, quella che David Hume aveva definito simpatia, e tale consapevolezza sfata il mito dell'individuo autonomo.

"Il dono e la cura sono le forme più elevate di capacità empatica e non si tratta di un puro sentire, ma di una risorsa preziosa contro l'individualismo oggi dominante: il dono è un'azione, un gesto concreto, un'esperienza", ha proseguito Pulcini, individuando tre possibili significati della parola grazie connessi a tre forme di dono.

La donazione consiste in un'elargizione di denaro che si esaurisce in se stessa, spesso implica autocompiacimento e ha una connotazione unilaterale: "Chi riceve è in posizione inferiore e questo crea disuguaglianza perciò il grazie può essere amaro, sofferto, con tracce di risentimento".

Il regalo invece è personalizzato ed è un atto celebrativo, collegato ad una ricorrenza o ad una festa: "È segno di una relazione personale e paritaria in cui vi è uno scambio e si gode della soddisfazione dell'altro. Il grazie ha il significato simbolico di confermare e ravvivare la relazione, ma può anche essere uno stanco e vuoto rituale se, per esempio a Natale, siamo obbligati a fare regali e può diventare una parola formale o nascondere delusione".

Il dono si distingue da entrambi perché è un atto libero e gratuito, asimmetrico, sia temporalmente, sia nella misura, in cui ci si mette in gioco. Da cosa è motivato? "Parte dal riconoscere la nostra vulnerabilità e dalla percezione di essere soggetti in relazione, dipendenti e interdipendenti, in debito gli uni con gli altri. La nascita è l'evento in cui ognuno è stato donato: siamo inseriti in un circuito e quando doniamo lo continuiamo". Infatti, ci mobilitiamo per aiutare sconosciuti, come i terremotati, o attraverso il dono di organi e sangue, e il grazie pronunciato da chi riceve è espressione non solo di riconoscenza o gratificazione ma dichiarazione di profonda gratitudine. "Il grazie da imparare a dire è quello che introduce nello spazio sacro del legame e della condivisione che va al di là dell'utile".

A proposito del perdono, Pulcini ha citato Arendt: "Perdono – ha concluso – è una parola che oggi si usa a sproposito, privandola di significato. Per la filosofa, significa rendere il male reversibile: se il male è ineliminabile, tuttavia si può redimere e renderlo reversibile è la nostra chance per combatterlo".

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