“Se si attuassero politiche di assistenza rivolte a tutta la popolazione si risolverebbe il 60% dei problemi di sanità che abbiamo”
Un po’ “bandeirante” si sente, sì, non fatica a riconoscerlo. Nel senso di esploratrice, però, e senza la carica negativa che questo termine conserva: perché i “bandeirantes” erano gli esploratori coloniali (portoghesi, ma pure brasiliani) che presero parte alle “bandeiras”, le spedizioni nelle terre tra il Mato Grosso e il Rio delle Amazzoni; imprese che fecero la fortuna del Portogallo tra il 1700 e il 1800, a spese delle popolazioni indigene, che furono sterminate. Da esploratrice Laura Ziller si mosse, nel 1974, per raggiungere Salvador de Bahia, inviata da don Luigi Verzé, fondatore dell’Opera San Raffaele, morto nel 2011, per portare in Brasile il modello cristianamente ispirato della medicina-sacerdozio, che don Verzé volle tradurre in un Movimento per promuovere, anche al di fuori del San Raffaele, una presa di coscienza del fatto che la medicina è scienza sacra perché sacro è l’uomo “immagine e similitudine di Dio”. Da esploratrice si muove, oggi che è presidente dell’associazione Monte Tabor e a capo dell’Ospedale São Rafael di Salvador de Bahia, di cui fu tra le fondatrici, con prudenza, passione e curiosità, nel complicato mondo della sanità brasiliana. Un mondo che lei conosce benissimo.
A metà gennaio ha festeggiato i 50 anni di presenza tra i “sigilli”, le persone chiamate da don Verzé a dedicarsi totalmente al compimento della missione dell’Opera San Raffaele, vivendo in comunità, facendo voto di castità e dedicando la propria esistenza alla missione di curare i malati. Originaria di Seio, frazione del comune di Sarnonico in valle di Non, Laura Ziller fu tra le prime, con Gianna Zoppei e Raffaella Voltolini, a entrare nell’associazione posta da don Verzé al vertice della struttura societaria di controllo delle svariate diramazioni dell’Opera. A Salvador de Bahia, nel 1974, arrivò insieme a Raffaella Voltolini con la precisa missione di ricreare il modello San Raffaele in quelle terre. Dalla collaborazione con suor Ludovica Sturaro delle Suore Campostrini e padre Beniamino Cappelli, cappuccino, nacque l’Associazione italo-brasiliana Monte Tabor – Centro Italo-Brasileiro de Promoçao Sanitaria, per dare corpo al progetto di don Verzé di fare una nuova medicina. Nel popoloso e povero quartiere di Pau da Lima si aprì un laboratorio di tossicologia nel 1980, un poliambulatorio nel 1985 e nel marzo del 1990 fu inaugurato l’ospedale São Rafael, dove furono trasferite metodologie e modelli organizzativi dal San Raffaele di Milano. Le travagliate vicissitudini di quest’ultimo, culminate nel 2011 in una grave crisi finanziaria che portò alla cessione dell’ospedale, nel 2012, al gruppo Rotelli (nel frattempo, il fondatore don Verzé era morto: “Lascio problemi”, scrisse nel testamento), sono ormai alle spalle; in proposito, Laura Ziller si limita a osservare che, con il cambio di proprietà, cessò anche il gran battage massmediatico. “Il São Rafael è un ospedale super specializzato – ci dice in un momento di pausa dei lavori della Settimana latinoamericana dei missionari trentini a Maceiò, nello Stato di Alagoas -, oltre all’assistenza svolge attività di ricerca e di formazione”.
Mediamente, qual è il livello della sanità in Brasile?
“Nonostante grandi proclami, la sanità non è tra le priorità per chi governa e ha governato in passato. Ed è in buona compagnia con l’istruzione. Molte persone non hanno accesso alle cure, e non solo nelle periferie delle grandi metropoli”.
E nell'interno?
“All'interno noi portiamo avanti importanti iniziative socio-sanitarie, ma se non ci fossimo noi con la nostra presenza il territorio sarebbe abbandonato”.
L'alta formazione in campo sanitario a chi è affidata? Ci sono istituzioni pubbliche o se ne occupano realtà private?
“Le istituzioni pubbliche funzionavano molto bene fino a qualche tempo fa. Poi hanno cominciato a proliferare corsi privati il cui livello però è piuttosto scadente”.
L'ospedale São Rafael in quali rapporti si pone con il territorio?
“L’ospedale svolge una rilevante attività di prevenzione sanitaria in tutto il territorio che lo circonda. E' inutile che abbiamo l'emergenza intasata da casi di zika, di chikungunya (una malattia virale caratterizzata da febbre acuta e trasmessa, come la zika, dalla puntura di zanzare infette, ndr) o lesmaniosi, se non andiamo alle cause. Abbiamo una serie di programmi di educazione nelle scuole, perché è a partire dai bambini che si comincia a dare un’altra visione di cos’è la qualità della vita, e programmi rivolti alle famiglie. Inoltre portiamo l’assistenza in regioni dove è totalmente assente la sanità pubblica”.
Ha citato la zika, che in occasione delle Olimpiadi di Rio 2016 ha avuto una vasta eco sui mass media anche in Italia. Quali sono oggi in Brasile i reali problemi, le vere emergenze da un punto di vista sanitario?
“A livello di sanità pubblica si discute molto della mancanza di politiche effettive di assistenza sanitaria di base. Ci sono, ma solo sulla carta. Se si attuassero vere politiche di assistenza rivolte a tutta la popolazione si potrebbe risolvere il 60 per cento dei problemi di sanità che invece abbiamo, e che si traducono in richieste di assistenza in ospedale, che invece non dovremmo avere”.
Manca una medicina di base…
“Ci sono, ripeto, grandi programmi, ma sulla carta: nella realtà non ci sono affatto o, quando ci sono, sono male applicati”.
Sui media brasiliani è stato ripreso con un certo rilievo l’allarme dell’Organizzazione mondiale della sanità, in occasione del World Cancer Day che si celebra il 4 febbraio, per l’aumento del numero dei tumori nel Paese (+31% dal 2000 al 2015). Quali sono le cause?
“Noi abbiamo un centro oncologico molto importante per Bahia, ma purtroppo dall'interno e dalle città più piccole arrivano pazienti già in stato avanzato. Manca un'effettiva prevenzione, un controllo di base diffuso che consenta di individuare e trattare in tempi rapidi le forme tumorali”.
Oltre ad oncologia, quali sono le specializzazioni di punta del São Rafael?
“Il São Rafael è un ospedale generale. Una decina d’anni fa lo Stato ci ha chiesto di dismettere la maternità per ampliare l’area di chirurgia neurologica e traumatologica, totalmente sguarnita nel pubblico. Oggi i traumi più gravi vengono portati al nostro pronto soccorso”.
Negli anni l'ospedale ha incrementato la ricerca di base ed applicata in campo medico e biomedico, per sviluppare nuovi protocolli di trattamento. Con quali risultati?
“Dal 2009 il nostro Centro di Biotecnologie e Terapie Cellulari (CBTC) fa ricerca e sviluppo tecnologico nei settori della terapia cellulare e dell’ingegneria dei tessuti, dello sviluppo di farmaci e della diagnostica avanzata. Qui sono studiate e applicate terapie e sviluppati prodotti per il trattamento di varie malattie degenerative, traumatiche e infettive. E’ uno degli otto centri di terapia cellulare accreditati dal Ministero della Salute brasiliano. Promettente è la sperimentazione di cure di malattie epatiche con cellule staminali non embrionali, possibile perché in Brasile la legge non obbliga alla sperimentazione sui primati prima di passare all’uomo”.
Se potesse rivolgere un appello ai politici, su cosa li inviterebbe a investire?
“La nostra richiesta è sempre la stessa: assistenza di base. C’è un programma molto bello di salute familiare, però pochi municipi l’hanno fatto proprio, impegnandosi a investire qualcosa”.
Lei lavora nella sanità in Brasile ormai dal 1974. Dove trova le energie per alzarsi tutte le mattine e cominciare di nuovo, nonostante le difficoltà?
“Non avessimo fede, ci sarebbe da disperarsi! Con la fede si riesce a vedere un po' più in là, ad affrontare le situazioni problematiche, la miseria, le necessità, confidando nella possibilità di migliorare, sempre. Il nostro è un messaggio di speranza, in tutte le situazioni che incontriamo: penso al sertão, con la nostra Missione Barra”.
(3. continua)
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