Siria, ciò che non si vuol vedere…

[Lo scrittore Hamadi: “La scelta non è tra dittatura o fondamentalismo, entrambe le soluzioni sono infatti rifiutate dalla popolazione…”

“La scelta non è tra dittatura o fondamentalismo, entrambe le soluzioni sono infatti rifiutate dalla popolazione…” ma molti in Occidente faticano a capire questo, una soluzione per la Siria va ricercata nella complessità storica, sociale e culturale del Paese”. Il giornalista e scrittore italo-siriano Shady Hamadi ha offerto profondi spunti di riflessione nel presentare il suo ultimo libro “Esilio dalla Siria. Una lotta contro l'indifferenza” (ADD Editore, 2016), durante il quarto appuntamento del ciclo di incontri “Scenari di Confine”, tenutosi lo scorso 4 febbraio all'Urban Center di Rovereto. L'iniziativa è promossa dall'Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa, dall'Associazione Social Catena e dalla Libreria Arcadia di Rovereto. Hamadi, nato a Milano nel 1988 da madre italiana e padre siriano, ha risposto alle domande di Giorgio Gizzi, della Libreria Arcadia, cercando di sfatare molti pregiudizi che circolano sul mondo arabo, sul conflitto siriano e più in generale sulle guerre in Medioriente, denunciando le iprocrisie di chi sta al potere. In questa tremenda guerra che in cinque anni ha lacerato la Siria chi ci rimette è l'intera popolazione, musulmani sunniti ed alawiti, cristiani ed altre minoranze etnico-religiose, “perchè le bombe quando cadono non fanno distinzione, eppure noi qui parliamo solo del fondamentalismo e della testa mozzata; ma perchè non ci indignamo altrettanto per le molte vittime dei bombardamenti?”. Di chi la colpa? Per il giovane scrittore, che ha acquistato notorietà con il libro “La felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana”, le responsabilità cadono sulle decisioni ipocrite dei governanti di nazioni potenti, tra cui Stati Uniti e Russia ma anche europee, “accanto alle grandi colpe delle elite politiche locali”. In Occidente c'è il mito della famiglia al-Assad, visti come i dittatori buoni, non si vuol o si finge di non vedere, secondo Hamadi, il loro tremendo apparato repressivo, messo a suo tempo in piedi dal gerarca nazista Alois Brunner, rifugiatosi in Siria negli anni Cinquanta e rimasto lì per oltre quattro decenni. Attualmente nel Paese mediorientale “si contano quattordici servizi segreti con mezzo milioni di delatori ed io non posso entrare in Siria per i miei libri, noti all'ambasciata siriana in Italia”. Nel 1968 suo padre Muhammad fu crudelmente torturato, fuggì dalla Siria e potè ritornarvi solo dopo trentacinque anni. Durante la cosiddetta 'primavera araba' (2011) la popolazione è scesa in piazza per chiedere le libertà e i diritti fondamentali e la scarcerazione degli oppositori politici, ma non hanno ottenuto nulla. Hamadi ha rievocato una storia siriana fatta di pacifica convivenza tra i vari gruppi etnici e religiosi, poi della paura instillata dai servizi segreti per alimentare l'odio di un'etnia contro l'altra. “Il presidente americano Bush ha fatto la 'guerra al terrore', portata avanti dai suoi successori, ora la Russia è entrata in campo con il pretesto di sconfiggere l'ISIS, ma ha bombardato Aleppo, dove non ci sono miliziani dello Stato Islamico”. Per lo scrittore “non si vuol vedere la complessità del fenomeno”. Ora i siriani senza patria si domandano quale sia la loro identità, tutti vorrebbero ritornare nel loro paese, ma quale Siria ricostruire?

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