Se si andava in cerca di una conferma, questa è emersa nella terza fase dell’operazione ascolto intrapresa proprio da Maestranzi – rimbalzato alla cronaca locale per un suo primo abbozzo programmatico sul rapporto fra la città e la sua rinomata Alpe – a corollario di un vis a vis con le sfere istituzionali e successive consultazioni con le associazioni che nel Bondone nutrono aspettative realistiche orientate al breve e medio periodo.
Ma ad essere nuova non è soltanto la sua veste istituzionale. Lo si è constatato alla serata “Monte Bondone 2017: l’anno del rilancio” che quel “pezzo di territorio che vogliamo sia più pienamente nostro”, così come affettuosamente definita la montagna di Trento dal suo primo cittadino, dovrà finalmente depurarsi da sterili se non deleterie contrapposizioni ideali quantomeno per non vanificare gli sforzi di visibilità turistica e le ventate imprenditoriali sin qui intraprese smussando angoli qua e là.
Roma non fu costruita in un giorno, e nessuno pretende prodigi, ma è fondamentale – puntualizza Roberto Stanchina, assessore comunale alle politiche economiche, agricole, tributi e turismo – lavorare in sinergia, posto che “è la città ad avere bisogno del Bondone e non viceversa”. Il concetto suona meglio se esteso alle varie altitudini, da Vason (meta del futuribile “grande impianto” a fune che continua a dividere l’opinione pubblica) ai sobborghi pedemontani a mo’ di articolazione urbana “da rilanciare nella sua completezza”.
Riuscire a coniugare la tutela ambientale – laddove il pensiero corre alla Rete di Riserve sempre sulla breccia – con l’accessibilità a tutti e in ogni stagione “in modo attento, equilibrato e sensato” si traduce nella sfida della giunta Andreatta: “È stato fatto da tante parti, voglio sperare che potrà essere anche in Bondone”, argomenta.
Nella sua relazione, Maestranzi ha lasciato trasparire quell’entusiasmo propulsivo di chi sa di dover rimettere mano al Bondone da cima a fondo, è proprio il caso di dire, e non senza complessità nel dipanare i nodi dei grandi interessi (non unicamente economici) in ballo. Con tanta carne al fuoco il minimo comun denominatore dello sviluppo scaturisce nel Piano di rilancio attualmente allo studio di professionisti che “hanno a cuore questa montagna” e per il quale sono stanziati 50 mila euro, dopo aver ingoiato le delusioni del Patto Territoriale nella recente fase di sviluppo sostenibile dell’area in quota.
Molto pare dipenda dalla realizzazione della funivia Trento-Vason sul modello della Nordkette di Innsbruck, un’opera che frange moderniste sostengono possa generare indotto economico e posti di lavoro, ma è lecito paventare il rischio di sacrificare per l’ennesima volta la montagna sull’altare del mero profitto o comunque del molle compromesso. Sviscerati i talloni d’Achille e i possibili sviluppi della “Trento Alta” così some battezzata da Antonio Pranzelores – dal mancato efficiente e puntuale innevamento al recupero immobiliare (in primis le caserme austroungariche e l’ex Hotel Panorama a Sardagna), dallo sviluppo di un moderno “bike park” e dello sci alpinismo alla manutenzione della rete sentieristica – nel successivo vivace dibattito mantenuto su un piano di rispetto e serenità è prevalsa la volontà di girare pagina.
Il Bondone, di fatto fin troppo relegato in coda alle priorità amministrative nonostante le frammentarie buone intenzioni su più fronti, merita un rilancio che proceda a vele spiegate anche in mezzo agli scogli. Ma si sa, ci sono situazioni in cui risulta più difficile inseguire che guidare, persino col vento in poppa.
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