In Duomo l'Arcivescovo ha ricordato il periodo in cui il beato percorse a piedi anche le vallate trentine
Uomo semplice, profeta concreto, protagonista della storia ecclesiale e civile dell'Italia del Novecento. Andò cappellano volontario nei Balcani e in Russia con gli alpini, non volendo lasciarli soli nel dramma della seconda guerra mondiale, mostrando fin da allora cuore di padre.
Dopo aver toccato con mano il dolore nelle trincee, don Carlo Gnocchi (1902-1956) non ha più voluto lasciare solo l'uomo che soffre, prendendosi cura del dolore innocente – fu soprannominato "padre dei mutilatini" – e dedicando la sua vita al servizio degli ultimi, "imprenditore della carità" ed educatore che mise in atto concretamente la "pedagogia dei fatti". Egli, infatti, percorse a piedi o con mezzi di fortuna le vallate alpine per portare conforto ai famigliari dei caduti, e come ricorda Giuseppe Ticò, presidente della sezione trentina dell'Associazione nazionale vittime civili di guerra, dopo il suo ritorno dal fronte russo si adoperò per aiutare le famiglie delle vedove, degli orfani e dei piccoli invalidi trentini con la Fondazione Pro Juventute e creando collegi nei quali molti di loro vennero accolti, ottenendo poi un titolo di studio che permise l'inserimento nel mondo del lavoro e perciò l'opportunità di una vita migliore.
Il suo essere "uomo di misericordia in atto" si concretizzò poi nella realizzazione della Fondazione che porta il suo nome. Così lo ha ricordato monsignor Angelo Bazzari, ex presidente della Fondazione Don Gnocchi di Milano, durante la Santa Messa di commemorazione del Beato presieduta dall'arcivescovo Lauro Tisi, nel 60 anniversario dalla scomparsa, avvolta dal dolce canto del coro degli alpini nella mattinata di sabato 14 gennaio nel Duomo di Trento.
"Don Carlo ha sempre cercato Dio, lo ha intravisto negli occhi dei bambini, nei sorrisi dei vecchi e nel rantolo dei morenti e la sua esistenza si è mossa su queste tre traiettorie, dall'aurora al tramonto, inventando la vita sulla frontiera della morte, dedicandosi all'umanità ferita nel corpo e nello spirito – ha detto monsignor Bazzari -. Il dolore può suscitare opere di solidarietà, ma esso richiede tenerezza, vicinanza concreta, ascolto accogliente e se non viene accarezzato, lascia chi soffre nella solitudine che diventa isolamento e abbandono".
La sofferenza degli altri chiede, invece, di esserci come ha aggiunto il neo-presidente don Vincenzo Barbante: "Di fronte al dolore ci domandiamo: cosa posso fare? Don Carlo ha risposto "eccomi" riuscendo a coinvolgere altre persone nella realizzazione della Fondazione: il dolore ci consegna dei fratelli, dobbiamo imparare a incontrarli e cambiare il nostro sguardo perché spesso è uno sguardo superficiale e insensibile, che sbriciola chi soffre".
Don Carlo ha conosciuto l'abisso del dolore e ha risposto contaminandosi con chi soffre facendosi prossimo e compagno: "Chi soffre ha bisogno di presenza reale, di tenerezza, non di parole vuote che sono pura retorica: egli ci insegna a guardare oltre noi stessi e ci invita a recuperare la via dell'apertura agli altri che dona speranza", ha detto nell'omelia monsignor Tisi, rivolgendosi al corpo degli alpini che ha partecipato alla celebrazione, riconoscendolo esempio di servizio e solidarietà concreta nelle situazioni di emergenza in tutto il Paese.
Insieme a forze dell'ordine e dell'esercito, erano presenti Maurizio Pinamonti, presidente dalla sezione di Trento dell'Associazione nazionale alpini che, nel ripercorrere la vita del Beato, ha evidenziato nella condivisione il suo tratto peculiare, il sindaco Andreatta – "è stato precursore e costruttore, insegnando a tutti a guardare avanti con speranza" – e il presidente Aido Mario Magnani. L'ultimo generoso gesto di don Gnocchi in punto di morte fu, infatti, la donazione delle cornee quando ancora non esisteva una legislazione in tema di trapianto di organi.
Lascia una recensione