Il freddo che uccide, complice l’indifferenza

Era un riparo apprezzato, quel garage semi aperto, a pochi passi dalla fermata della corriera, le mattine d’inverno, dentro il quale trovavamo riparo per qualche minuto in attesa del pullman che ci avrebbe portati al lavoro. Poteva perfino rammentare il caldo di casa, mentre fuori il vento sferzava la neve alle 4 e 30 del mattino. È l’immagine che mi è venuta alla mente, spontanea, osservando con sgomento le fila di migranti bloccati al freddo in Serbia; esposti senza vestiti e ripari ad un gelo invernale che di notte raggiunge anche i 20 gradi sotto zero.

Sono immagini, quelle viste in tv, sui giornali, in rete, che dovrebbero suscitare sdegno e ribellione in ogni persona capace ancora di un minimo di empatia nei confronti di chi soffre.

Quanto accade non lontano da noi, dovrebbe suscitare un moto di ribellione generale. Anche in noi che dentro casa troviamo riparo dal freddo, che percuote anche le nostre contrade, con l’ausilio di combustibili provenienti (ci pensiamo?) dai Paesi dai quali fuggono quegli sventurati. Ci sono stati molti casi di ipotermia e anche dei morti, in questi primi giorni di gennaio, in quella terra di nessuno nella quale sono confinati quei migranti. A noi che ci protegge il caldo tepore di casa; che ci abbraccia il conforto degli affetti famigliari, che in strada ci protegge un vestiario confortevole, quanto ci riesce immaginare che significhi congelarsi? Avvertire il freddo che artiglia il proprio corpo e spegne adagio ogni vigore?

Il rigore invernale, come ogni altro fenomeno di stagione, è un passaggio del tutto naturale. Ciò che non è naturale è che ci siano persone che non possono usufruire di un tetto, di una casa, di un luogo riscaldato e accogliente, nel quale soggiornare e non solo sopravvivere confidando nella buona sorte. Quanto sta accadendo ai confini dell’Europa è il fallimento della stessa, delle sue politiche migratorie. Chiama in causa noi stessi; tutti quanti, senza appello, senza scuse di sorta. Non si può, non si deve stare a cincischiare dinanzi a persone che muoiono a quel modo, o perder tempo a discutere dei massimi sistemi. La vita di ogni persona, e di quelle più vulnerabili a maggiore ragione, impone che si intervenga offrendo soluzioni. Quanti, dinanzi a tragedie come quelle ricordate, girano lo sguardo altrove, siano politici, governanti, intellettuali, uomini di chiesa o persone qualunque, non sono degne di dirsi appartenenti all’unica razza che io conosca, quella umana. Il prossimo 27 gennaio si celebrerà la giornata della Memoria, per commemorare le vittime dell’Olocausto. Anche allora si assistette a marce forzate nel ghiaccio, nella neve, nel freddo, di uomini e donne destinate a morire a causa del volere di un regime del terrore, ma anche a causa del disinteresse e dell’indifferenza di troppi, di molti.

Sta a noi, oggi, scegliere la parte dalla quale stare: o con le vittime o con quanti, ad ogni livello, in modo demagogico, cinico, brutale, accampano ogni giorno motivazioni diverse per ripetere: sono forse io il custode di mio fratello? La neutralità in questo campo non esiste. Non è concesso a nessuno chiamarsi fuori.

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