Indagando il mito archetipale di Giuditta e Oloferne e prendendo spunto da altre figure e icone femminili attraverso i secoli, la mostra affronta temi forti come gli stereotipi femminili e il difficile cammino verso l’emancipazione
La nostra concittadina Gabriella Belli, responsabile della Fondazione Musei Civici Veneziani, ha spostato la grande Mostra sulla Giuditta di Klint a Mestre, per coinvolgere all’ossequio della grande Arte anche la Venezia dell’altra sponda lagunare.
Nel celebre Centro Candiani di Mestre si è aperta, sino al 5 marzo, con un'ottantina di tele e sculture, la mostra intitolata: “Attorno a Klimt. Giuditta, eroismo e seduzione”. È tutto un convergere di capolavori di vari maestri, attorno a quello assoluto della “Giuditta II” di Klimt; tra gli altri, si notano Evard Munch, Egan Schiele, Fernand Khnopff. La nota critica d’arte Gabriella Belli, inoltre, ha abbondantemente onorato il Trentino presentando ben sette opere del pittore di Arco, Luigi Bonazza.
La biblica Giuditta – emblema di eroiche gesta e virtù, che salva il suo popolo da Oloferne – ha sedotto l’ispirazione di tanti grandi artisti che trasformano – nella mostra mestrina – questa potente figura di donna in toccanti movimentate allegorie.
“Giuditta – scrive la Belli nella premessa del catalogo – gioca un ruolo importante nella storia dell’arte tedesca nel Novecento, nell’emergenza della Repubblica di Weimer, dove si accenderà il fuoco dell’eversione che metterà in scena un esercito di donne, passate dal divano di Freud alla lotta per l’emancipazione, per il riconoscimento del proprio libero arbitrio. Ora meduse, ora sfingi, ora Giuditte, ora Salomè, queste donne non hanno nulla dell’antica bellezza, si sono mostrate per quello che sono, con il diritto di essere brutte e terribili forse per la prima volta nella storia dell’arte finalmente soggetti e non più oggetti”.
L’iconografia di Giuditta attraverso i secoli è esaltata dagli artisti per le sue ispirate gesta di un eroismo soprannaturale, per la sua audacia, virtù e affascinante bellezza.
Questa processione artistica di femme fatale, idealizzate in estetizzanti e inquietanti simbolismi di meduse e sfingi, vede gareggiare anche il nostro Luigi Bonazza con opere diversificate, soprattutto nella tela raffigurante le “Sirene” (1932) in cui tratteggia nella musicalità di seduzione tre figure di donne modellate nel vortice dell’incanto femmineo. Nelle altre sue opere trasforma le sue Giuditte dalle ali gigantesche in terribili e sofisticate silfidi, armate del sottile dardo giustiziere.
Grazie alla sensibilità e all’intuito della Belli, Luigi Bonazza ha potuto riemergere con la potenza e la delicatezza del suo tratto, ponendosi tra gli artisti più eloquenti della Secessione, degno discepolo dei viennesi Felicion von Mybach e di Franz Matsch.
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