“Puntiamo sulle persone”

Inizio anno, tempo di bilanci e buoni propositi. Ospite del programma radiofonico dedicato all'ateneo di Trento, in onda su Trentino inBlu, il rettore Paolo Collini ha raccontato la sua università, i risultati raggiunti e le prospettive future.

Nell'ultima puntata prima della pausa natalizia, l'intervista non poteva che partire dalla fresca conferma dell’Università di Trento al vertice della classifica sulla qualità della ricerca in Italia nel periodo 2011-2014, pubblicata dall'Anvur (l'agenzia indipendente di valutazione del sistema universitario italiano). Una conferma appunto, perché così era stato anche nel periodo di valutazione precedente. “Un risultato per nulla scontato”, sottolinea il rettore, “anche se quando si è primi è facile pensare che si sarà primi anche la volta dopo. Ma il sistema universitario italiano della ricerca sta crescendo molto, e tutti sono molto attivi”.

Rettore Collini, qual è stato il segreto di questo importante risultato?

Questa conferma è il frutto di un percorso lungo. Un risultato che l'Università di Trento ha costruito in molti anni, grazie anche agli investimenti di un territorio, quello trentino, che ha puntato molto sull'innovazione e la ricerca. Ma non bastano gli investimenti, bisogna anche fare buoni investimenti: abbiamo saputo combinare una buona disponibilità di risorse con la capacità di usarle bene. Questo vuol dire puntare sulle persone. Nella ricerca la cosa più importante è reclutare persone capaci, motivate, che hanno entusiasmo e desiderano investire con noi un po' del loro futuro.

Diceva che la ricerca italiana sta crescendo, nonostante si senta dire sempre più spesso che nel nostro Paese non trovi spazio.

La qualità della ricerca italiana è largamente superiore alle risorse che l'Italia investe in ricerca. È noto che la produttività dei nostri ricercatori è molto alta. Ma in Italia si spende in ricerca meno, anche molto meno, di quanto si spende negli altri Paesi.

Così i nostri ricercatori portano la ricerca altrove…

Succede molto spesso: il nostro Paese produce scienziati molto preparati, ma poi trovano poco spazio nel sistema nazionale e quindi guardano al mercato internazionale, principalmente europeo, come luogo dove poter costruire la loro professione. Da una parte è bello che i giovani sentano l'Europa come casa loro, è una speranza per il futuro. Allo stesso tempo, però, è un peccato per il nostro Paese, che investe in persone, in formazione, e poi non ne trae beneficio.

Torniamo al primo posto di Trento nella ricerca: un percorso che parte da lontano, che probabilmente lei stesso ha ereditato da altri. Come pensate di mantenere questa tendenza positiva?

Questa è la nostra scommessa più grande. La situazione dei finanziamenti pubblici è molto diversa oggi, e lo sarà nei prossimi anni, rispetto a quella in cui si è formato questo risultato, 10 o 20 anni fa: le risorse sono diminuite sensibilmente. Per mantenere questo risultato dobbiamo essere sempre più capaci di essere autosufficienti, di trovare da soli le risorse per continuare a crescere, se non in quantità, in qualità. Il sistema pubblico nazionale e trentino ci aiutano e spero continueranno a farlo, ma chi fa buona ricerca deve saper trovare altri finanziamenti, principalmente a livello europeo. Fortunatamente l'Europa investe ancora nella ricerca, e come ateneo abbiamo buonissimi risultati nei progetti finanziati dall'European research council.

C’è anche la strada del fundrasing. Pochi giorni fa è stata donata all’Università una somma importante (100 mila euro, da parte di una cittadina in memoria del dott. Marchi, ndr), che finanzierà per i prossimi tre anni un giovane ricercatore e il suo studio su base genetica dei meccanismi di aggressività dei tumori.

Nel momento in cui il sistema pubblico si ritira, l'iniziativa dei privati è un'alternativa importante, già molto diffusa altrove, ad esempio negli Stati Uniti. È una pratica che nasce dalla sensibilità verso iniziative di solidarietà, dal desiderio di poter fare qualcosa di buono, dalla scelta di responsabilità, da parte di chi ha avuto fortuna nella vita, di restituire qualcosa alla società. Una pratica che si sta diffondendo anche in Italia. Non occorre arrivare a Bill Gates, che ha donato metà del suo gigantesco patrimonio in beneficenza; può essere fatto anche nel piccolo. Credo che la donazione ricevuta sia anche il segno che la nostra Università è credibile, e che riusciamo a raccontare alla gente gli sforzi e i risultati che otteniamo nella ricerca.

Unitrento è un ateneo capace di attrarre studenti e docenti da fuori provincia. In Trentino, secondo lei, i giovani e le famiglie credono nella formazione universitaria?

In tutto il Paese stiamo scontando un calo di interesse: sempre meno studenti si iscrivono all’università. Da un lato forse è cambiato l’atteggiamento: se un tempo molti si iscrivevano ma poi abbandonavano molto presto, oggi c’è più attenzione e consapevolezza nella scelta, e questo non è negativo. Il rapporto tra coloro che si iscrivono e coloro che si laureano è cresciuto molto, mentre i tassi di abbandono sono diminuiti. Come università di Trento il tasso di laurea è intorno al 70-75%, molto al di sopra della media nazionale. Questo è un segno positivo. È vero però che esiste questo calo di iscrizioni all’università, dunque dobbiamo lavorare perché i giovani vedano nell'università un'occasione di crescita. I dati ci dicono che i laureati hanno migliori opportunità occupazionali; a volte, purtroppo non sempre nel nostro Paese, anche redditi all'ingresso del mercato del lavoro più alti. Soprattutto, chi è laureato ha progressioni di lavoro migliori, questo lo dicono tutte le statistiche, ed è più resistente ai momenti di crisi.

Quindi non è vero che “il pezzo di carta” non serve più…

Il pezzo di carta non serve a niente, è la buona formazione che serve a qualcosa. Conta avere un percorso solido alle spalle, e non si tratta solo di apprendimento e conoscenza: formarsi significa crescere come persone consapevoli e capaci di stare al mondo. Nella formazione c'è senz'altro lo studio, ma anche l'esperienza internazionale, le relazioni sociali, la crescita umana. Vediamo ragazzi che arrivano nella nostra università timidi e spaesati, e li vediamo andare via, anni dopo, come persone adulte capaci di affrontare il mondo, che viaggiano in tutta Europa, che hanno delle idee, dei progetti. Questo è un patrimonio enorme.

Quali obiettivi, per l’università di Trento, da realizzare nel 2017?

Non sono diversi da quelli che ci siamo sempre dati: essere un luogo dove le persone possono realizzare un po’ dei loro sogni, che siano nostri studenti, ricercatori o il personale che lavora in università. Le università sono fatte di persone, anche macchine, edifici, certamente, ma se non ci sono persone di qualità, capaci, e soprattutto con voglia di fare, le università non vanno da nessuna parte. Il nostro desiderio per l’anno nuovo è di continuare in questa direzione, anche meglio di come abbiamo fatto in passato.

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