Sull'ultimo numero di Vita Trentina abbiamo presentato le proposte della Pastorale pellegrinaggi per il 2017. Di seguito, in dettaglio, le quattro principali.
DUE PELLEGRINAGGI IN TERRA SANTA – 7-14 marzo/ 9-16 novembre
Eventi preoccupanti accaduti in questi ultimi due anni in alcuni Paesi del Medio Oriente hanno scoraggiato molti dal mettere in programma un pellegrinaggio in Terra Santa. In realtà, non poche diocesi – e altrettante agenzie che operano in quest’ambito – non hanno mai interrotto questa prassi: se pure con gruppi più piccoli, i pellegrinaggi verso Gerusalemme sono sempre stati effettuati.
I motivi? Due soprattutto. La Terra Santa, con i suoi molteplici luoghi legati alla storia della nostra salvezza, è comunque sempre e in assoluto la prima meta a cui guarda chiunque intenda “mettersi in cammino per Fede”. In secondo luogo, vi è un dato di fatto (ampiamente comprovato anche dalla cronaca di questi ultimi anni): nonostante che in Paesi circostanti si siano verificati – e tutt’ora possano accadere – eventi che distolgono turisti o pellegrini dal mettersi in viaggio verso quelle mète, in Terra Santa (nonostante le difficili situazioni di convivenza tra popolazione ebraica e componente palestinese che perdurano da almeno sessant’anni), mai sono stati compiuti atti di violenza o attentati a danno dei pellegrini.
Al momento attuale, strano a dirsi, tra tutti i Paesi del Medio Oriente è quello più sicuro: i tradizionali pellegrinaggi possono svolgersi in piena regolarità. Un motivo ulteriore, che motiva ogni diocesi a programmarli, è la presenza bimillenaria in quella Terra di comunità cristiane, le quali – se pure ridotte a minoranza al giorno d’oggi – si aspettano a buon diritto il sostegno e la solidarietà di tutta la Chiesa universale. Se quelle comunità dovessero scomparire, di “santo” in quella Terra rimarrebbero soltanto le pietre, e il pellegrinaggio stesso si ridurrebbe a una specie di visita ad un museo.
Per noi trentini questo motivo assume particolare rilevanza in questi anni, al pensiero che un frate della nostra terra, Francesco Patton, è stato nominato Custode di Terra Santa, un ruolo di primaria importanza nel contesto religioso del Medio Oriente. La nostra diocesi ha in programma due pellegrinaggi annuali a Gerusalemme: il primo in primavera, il secondo in autunno inoltrato (per quest’ultimo si prevede una partecipazione più numerosa, in quanto buona parte dei posti disponibili sono riservati di volta in volta a gruppi decanali o parrocchiali).
FATIMA NEL CENTENARIO DELLE APPARIZIONI – 20-23 maggio
Cento anni sono passati da quei fatti verificatisi alla “Cova d’Iria”, località nei dintorni di Fatima, sconosciuto e piccolo villaggio dell’entroterra portoghese. Lucia, Francesco e Giacinta, mentre custodivano al pascolo il piccolo gregge di famiglia, avrebbero visto la Madonna, ricevendo da lei messaggi da diffondere e segreti da custodire fino a momento opportuno.
I messaggi erano appelli accalorati a modificare mentalità e comportamenti, sia in prospettiva individuale che collettiva, al fine di evitare conseguenze disastrose attribuibili non a presunti castighi divini, bensì a scelte sbagliate degli individui e dei popoli. Gli eventi drammatici che da quel 1917 si sono susseguiti in Europa e nel mondo ne sono stati una riprova, tutto sommato, parziale: il confronto tra la vicenda di Fatima e quegli eventi manifesta, in certo qual modo, il paradossale conflitto tra l’appassionata sollecitudine di Dio per il mondo e la libertà degli uomini, che non di rado proprio a quella sollecitudine si oppongono con scelte foriere di catastrofi.
Fatima non gode le simpatie dei credenti troppo dotti, perché parla il linguaggio dei semplici. Ancor oggi accade di vedervi manifestazioni di fede di una semplicità disarmante. Quanto poi al linguaggio, ricco di immagini simboliche in parte desuete alla sensibilità credente del nostro tempo, già Papa Benedetto XVI ne offrì a suo tempo plausibile spiegazione: “Là dove il soprannaturale si manifesta e interpella il mondo, lo fa passando attraverso strumenti umani, i quali se ne fanno portavoce con il loro tipico linguaggio, caratterizzato dalla cultura religiosa propria del loro ambiente e del loro tempo”.
I “tre pastorelli” (a differenza di molti altri presunti veggenti) non ne hanno trattato alcun vantaggio, tantomeno economico: per il Vangelo e per la Chiesa è un criterio tutt’altro che secondario a favore dell’autenticità di quella vicenda. Certo linguaggio potrà anche dirsi superato, ma il messaggio essenziale di Fatima non ha perso affatto la sua freschezza e la sua universale attualità.
IN GERMANIA SULLE ORME DELLA RIFORMA – 27 giugno – 1° luglio
Secondo gli storici, era il 31 ottobre del 1517 il giorno in cui il monaco agostiniano Martin Lutero affisse alla porta della chiesa del castello di Wittenberg le sue 95 tesi contro lo scandalo delle indulgenze, affrontando i temi cristiani della penitenza, del peccato e della grazia. Ne derivò un movimento di riforma che senza dubbio oltrepassò di gran lunga le previsioni del protagonista: una profonda lacerazione all’interno della Chiesa, condanne, persecuzioni e guerre, rappresentarono le conseguenze più vistose.
Cinque secoli sono passati da allora, un’epoca caratterizzata da una contro-riforma in seno alla Chiesa cattolica, attuata più con l’irrigidimento su tradizionali posizioni dogmatiche che con la preoccupazione evangelica di cercare vie di riconciliazione. Divergenze e contrapposizioni finirono con l’aggravarsi sempre più, favorendo sia da una parte che dall’altra un clima diffuso di reciproca esclusione e condanna. Fino al Concilio Vaticano II i “Protestanti” rappresentarono il cristianesimo scismatico da cui guardarsi. Poi qualcosa è cambiato. Nella Chiesa cattolica si è cominciato timidamente a riconoscere che Lutero (forse!) non aveva tutti i torti e che l’accettazione delle sue buone ragioni di protesta (forse!) avrebbe potuto evitare molte catastrofiche conseguenze.
Ma ciò che al giorno d’oggi – finalmente! – rende possibile l’incontro e il dialogo, è la consapevolezza condivisa sia in ambito cattolico che luterano dell’urgente necessità di offrire alla nostra Europa (post-cristiana) e al mondo intero un’unitaria e credibile testimonianza evangelica. Il superamento di vecchi pregiudizi e stereotipi falsi, o quantomeno imprecisi, è l’obiettivo a cui tendere. A questo anche il nostro pellegrinaggio diocesano vorrebbe, nella sua piccola parte, contribuire.
AQUILEIA E CARNIA: IL CAMMINO CELESTE – 18-22 settembre
Non sono passati molti anni da quando un’associazione di amici friulani ha riportato a conoscenza dell’opinione pubblica gli antichi tragitti percorsi da pellegrini e viandanti nell’alto Medioevo attraverso le terre della Carinzia, della Slovenia, della Carnia, fino all’Adriatico.
Resti di antiche città d’epoca romana (come Aquileia o Zuglio), splendide testimonianze paleocristiane (Aquileia ne è esempio, grazie anche ai reperti messi in luce di recente), espressioni artistiche d’un Cristianesimo che impregnò la cultura Longobarda (come a Cividale) o che trovò successive concretizzazioni tipicamente popolari nelle Pievi isolate sulle sommità dei monti (ad esempio san Pietro in Carnia) o nelle cittadine medievali impreziosite dall’immancabile Duomo (Verzone, Spilimbergo, Gemona), per non parlare dell’antica istituzione ecclesiale del Patriarcato che contrassegnò la storia di quelle terre con tradizioni in parte ancora esistenti: tutto questo offre “Il cammino celeste”.
Il pellegrinaggio diocesano – che perciò si caratterizza anche come itinerario di cultura religiosa – si conclude a Trieste, ben nota non solo per il fascino di città marittima, ricca di splendide piazze e palazzi, ma anche per la sua sinagoga e le sue chiese ortodosse. Non da ultimo (anche questo “tappa” nel Cammino celeste, ma come Golgotha o Calvario) la Risiera di san Sabba: campo di sofferenza e di sterminio per una moltitudine di persone, il cui ricordo entra a pieno titolo in un pellegrinaggio. Il Cammino celeste, insomma, è un viaggio nella storia osservata dalla prospettiva del “cielo”: per coglierne grandezze, eroismi, ma anche limiti, e capire ciò che la rende autenticamente “umana”.
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