Più complicato del previsto

Più d’uno aveva creduto che il governo Gentiloni sarebbe stato una specie di comitato per l’ordinaria amministrazione, mentre il parlamento procedeva spedito a darsi una nuova legislazione elettorale che consentisse uno scioglimento anticipato della legislatura e quel bagno di voti a cui, almeno a parole, anela gran parte della classe politica. Peccato che non siamo in tempi di ordinaria amministrazione per cui quello scenario diventa sempre più problematico.

Il primo punto dolente è dato dalla tenuta del nostro sistema economico. La situazione del Monte dei Paschi di Siena sembra lontana dall’avviarsi verso una soluzione, sicché si dà per scontato l’intervento della mano pubblica, il che costituirà un problema sia sul versante europeo che su quello interno, perché costringe ad un salvataggio generalizzato di un sistema ricco di punti dolenti. L’attacco dei francesi di Vivendi a Mediaset suona come un grosso scontro per il controllo di aspetti succulenti del nostro universo produttivo e finirà per fare da apripista ad altre imprese del genere. Il mercato del lavoro continua ad essere in sofferenza senza che si riesca a trovare quella ragionevole intesa in grado di recuperare almeno in parte la grande piaga della disoccupazione giovanile.

Il secondo punto che continua ad essere problematico è dato dalla presenza del terrorismo jahdista. Sino ad oggi non ci sono attacchi in Italia, ma ovviamente Francia e Germania sono nostri paesi confinanti e alleati e patiscono attacchi pesanti nonostante una buona organizzazione di contrasto al terrorismo. Quantomeno a livello psicologico i contraccolpi dei recenti avvenimenti a Berlino, Ankara, Giordania ed Aleppo non mancheranno di farsi sentire anche qui e già abbiamo visto che ci sono gli avvoltoi pronti a specularci sopra.

Basterebbero già questi due scenari per impensierire sulla tenuta di un governo che ha pagato qualche prezzo non lieve agli appetiti dei vari gruppi, sia con nuove presenze che lo rendono attaccabile sul piano dell’immagine, sia con conferme la cui logica è piuttosto discutibile. Gentiloni rimane un politico abile, un personaggio stimato, e un uomo competente sui dossier internazionali, ma temiamo non basti.

A complicargli la vita non c’è solo la continuità col governo Renzi, ma la situazione assai ingarbugliata in cui versa il suo partito. Avranno anche deciso che il congresso può aspettare, ma lo stanno già facendo a mezzo stampa, che è il modo peggiore di affrontare il problema. Li stringe la trappola da cui non hanno saputo liberarsi, cioè la necessità di dover “tenere conto” di un risultato referendario che di suo è tanto circoscritto e al tempo stesso “universale” da avergli potuto attribuire tutti i significati desiderati da ciascuno. Adesso l’interpretazione su cui tutti i politici concordano è che gli italiani hanno detto che vogliono andare a votare presto. In verità non si sa come si sia arrivati a questa conclusione vista la torsione conservatrice che era contenuta nella scelta: lasciate tutto intatto, che va bene così. Certo c’è in giro una gran voglia di rovesciare il tavolo, ma siccome non vediamo consenso sulla direzione in cui farlo, dubitiamo che alla prova dei fatti la gente abbia tutta questa voglia di sperimentare un bel ribaltone. Visto come è andata a Roma, tanto per dire, forse ci sarà qualche raffreddamento in questa pulsione a buttar tutto all’aria.

Intanto la classe politica si arrovella sulla legge elettorale da riscrivere, anche qui senza che si riscontri nell’opinione pubblica un gran trasporto per il tema. Come sempre la questione è che ciascuno dei contendenti vorrebbe un sistema che garantisca lui e penalizzi gli altri, cosa impossibile. Ogni soluzione può aiutare a rispondere ad alcune domande, ma ne elude altre. Per esempio il collegio uninominale sicuramente favorisce un contatto diretto fra candidato ed elettori, ma poi mette le candidature ancor più nelle mani dei partiti (ciascuno nel collegio ha un solo candidato). Anzi, se si dovesse andare ad un sistema basato su coalizioni, costringe a spartizioni dei collegi sulla base di negoziati fra i partiti coalizzati, con il risultato che gli elettori si prendono il candidato imposto dagli accordi di coalizione e non quello che piacerebbe a loro.

Insomma non è un finale d’anno facile. La speranza per il futuro è obbligatoria, ma rischia sempre più di dover essere un atto di fede.

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