Paolo De Benedetti, maestro della ricerca

Fu docente a Trento, dove 4 anni fa venne a parlare della “teologia degli animali”

È morto domenica ad Asti il teologo e biblista Paolo De Benedetti, 89 anni il prossimo 23 dicembre, già docente al Centro per le Scienze Religiose di Trento. Così lo ricorda il nostro collaboratore Piergiorgio Cattani, suo allievo.

È quasi impossibile dare una definizione di Paolo De Benedetti. Non basta chiamarlo teologo, biblista, filosofo, linguista, editore, uomo di cultura e di divulgazione. Una sola parola esprime quello che De Benedetti è stato per generazioni di studenti, amici, colleghi sparsi per tutta Italia e che formavano una sorta di comunità invisibile riunita virtualmente intorno alla sua figura: maestro. Questo è l’unico appellativo con cui chiamare De Benedetti. Un maestro secondo la tradizione ebraica, capace di trasmettere le parole udite da Israele sul Monte Sinai, ma pure di “superare” lo stesso Mosè.

Chiunque lo abbia incrociato almeno una volta sul proprio cammino ricorderà i suoi occhi penetranti, sempre guizzanti anche in tarda età, e il suo sorriso bonario che sapeva rivolgere a ogni persona e pure ad ogni animale. La sua morte, avvenuta domenica 11 dicembre, senza clamori, quasi in punta di piedi, lascia un vuoto. Ci vorranno anni per capire fino in fondo la grandezza della sua eredità intellettuale e spirituale.

Seguire la sua parabola biografica è arduo. Di famiglia di origine ebraica astigiana (la numerosa “stirpe” De Benedetti, discendenti da un marrano talmudista del XV secolo, fatta di studiosi, avvocati, imprenditori), ma di madre cattolica – e quindi legalmente non ebreo – PDB (come lo chiamavano gli amici) visse sempre sulla soglia di due universi religiosi. Battezzato cristiano e frequentatore di sinagoghe, di formazione cristiana approdata successivamente all’approfondimento dell’ebraismo, De Benedetti restò se stesso. Un maestro appunto. Che non ti insegna tanto con l’erudizione, per altro sterminata, ma con la ricerca dialogica, con l’amicizia e l’affinità che derivano dal comune anelito alla verità. Aristocratico per censo e per cultura, PDB non faceva mai pesare il suo retroterra, l’aver collaborato a lungo con personaggi del calibro di Umberto Eco e di Carlo Maria Martini, ma metteva ogni studente a proprio agio.

Direttore editoriale presso le case editrici Bompiani e Garzanti, animatore di gruppi, riviste, associazioni (come dimenticare Biblia?), PDB girò mezza Italia instancabilmente per insegnare un po’ ovunque: Milano, Urbino, Trento.

Personalmente l’ho conosciuto a una serie di lezioni tenuta al Corso superiore di scienze religiose qui a Trento. Di primo acchito enigmatico e quasi dimesso, davanti agli studenti apriva i suoi ricchissimi scrigni. Uscivano tesori inestinguibili: un modo diverso di parlare di Dio (e con Dio); l’originale interpretazione – quasi talmudica – di ogni angolo della Bibbia; una presentazione inedita dell’ebraismo, almeno per orecchie cristiane; la sua “teologia” degli animali, cioè della risurrezione di tutti gli esseri viventi (ne parlò al Muse 4 anni fa); il suo bruciante interrogarsi sul dolore e sulla morte che lo lasciava inquieto fino all’ultimo; l’ironia e l’apertura mentale. E forse la cosa più importante: la centralità della domanda e della ricerca, infinita e personale, mai del tutto appagata. Perché la verità è sempre davanti a noi, come la terra promessa, come Dio stesso.

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