Un Avvento lungo nove mesi? Certo: l’autore stesso sottolinea che il progetto di questa mostra è nato un anno e mezzo fa, dunque ha avuto modo di rifletterla ampiamente. La lunga preparazione ha generato l’idea centrale della mostra fino a coincidere con essa. Bruno Lucchi non ha voluto realizzare una mostra sulla Nascita, un Presepe, ma piuttosto offrire l’idea dell’attesa ovvero del cammino verso il Natale. Ecco perché, per trattare del 25 dicembre, è partito dal 25 marzo, dalla Annunciazione. Come è ben esplicitato nel titolo siamo “Al compiersi dell’attesa” alla conclusione, al culmine, al compimento di una lunga preparazione fisica e spirituale.
Si è trattato di un progetto assai impegnativo, rigoroso, attentissimo ai valori della fede cristiana, che l’artista di Levico ha studiato con serietà e dedizione per molti mesi, dando forma a una autentica riflessione sulle possibilità, per l’arte nel terzo millennio, di porsi al servizio del messaggio cristiano e della sua trasmissione. Il tema è stato sviluppato, in modo assai efficace e coinvolgente, come una narrazione, mediante gruppi in terracotta che si susseguono lungo l’asse longitudinale dell’aula per concludersi davanti alla rustica parete di fondo, in dialogo creativo pieno fra contenuto e contenitore, fra luogo espositivo e opere esposte. Lungo tale cammino sono stati disposti i diversi gruppi scultorei, anche di grande formato, essenziali ed eleganti, sobri, silenziosi, totemici, a scandire la successione temporale degli avvenimenti, narrati con immediatezza e leggibilità, puntando direttamente al cuore degli eventi. Siamo davanti a un logicissimo sviluppo di un aspetto centrale della creatività di Lucchi: i primordiali menhir che dal 1991 hanno caratterizzato i suoi esordi scultorei e da cui in seguito sono derivati gli Androgini.
Nel primo gruppo, l’Annunciazione, incluso in una struttura in acciaio corten che suggerisce la casa di Nazareth, Maria è chiamata dall’arcangelo, e in leggera torsione si volta verso di lui: i panneggi delle vesti visualizzano il dialogo pacato fra i due. Il secondo gruppo ci mostra la coppia in cammino verso Betlemme, fra un bosco di betulle. In fondo il Bambino, avvolto in fasce e deposto in una culla di ferro arrugginito, realizzata per l’occasione, ad esaltare il contrasto fra colori e materiali caro a Lucchi. Sopra al muro absidale una serie di formelle ceramiche ci fanno leggere «Puer natus est nobis», l’incipit dell’Introito della Messa del giorno di Natale. L’attesa si è conclusa.
In questo progetto una delle difficoltà maggiori era costituita dal come gestire, troppo suggestive per essere tralasciate, le antifone maggiori dell’Avvento: le sette antifone proprie della liturgia delle ore, secondo il rito romano, che vengono cantate come parte del Magnificat nei vespri e come versetto alleluiatico del Vangelo nella Messa delle “ferie maggiori” dell’Avvento, dal 17 al 23 dicembre. Da secoli i sostantivi con cui ogni antifona si apre sono utilizzati come titoli di Gesù Cristo. Le loro lettere iniziali, lette partendo dall’ultima antifona, formano la frase latina “ero cras”, cioè "domani sarò qui", una espressione che sottolinea il carattere di attesa proprio dell’Avvento. Ecco che “O Sapienza, O Adonai, O Radice di Jesse, O Chiave di David, O astro Sorgente, O Re delle Genti, O Emmanuel” hanno per i credenti un valore speciale e tali antifone spesso sono state musicate. Tale intrigante sfida è stata risolta con l’immagine degli antichi cippi viari. Bruno Lucchi ha cioè progettato un ideale tracciato, scandito, come in una antica strada, da pietre miliari, qui ispirate proprio alle Antifone maggiori. Il proseguimento passo dopo passo del viaggio spaziale diventa così metafora dello sviluppo temporale dell’attesa: l’avvicinamento, partendo dalla Incarnazione, al punto di arrivo noto.
Allestita nell’Aula San Giovanni sotto il presbiterio del Duomo, la mostra rimarrà aperta fino all’8 febbraio.
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