"La verità è umile": il filosofo Farina propone la traccia di un cammino di ricerca nella fede onesto e audace, in comunione con Dio, che si realizza anche nel dialogo con gli altri
Porsi come persone che hanno qualcosa di vitale da dire e ne avvertono la responsabilità, ma si esprimono rispettando e sentendo amicizia per l'altro e non solo per la verità, e perciò non la impugnano come arma contro gli altri, ma tracciano un solco in cui essa può emergere, umilmente, nell'apertura creata dallo spazio del dialogo. Infatti, scriveva Simone Weil, la verità non è un prodotto dell'intelletto, ma il frutto di un'esperienza di relazione che, nell'attuarsi, assume il volto dell'amore.
È uno dei passaggi della lectio magistralis dedicata a "La verità è umile", tenuta dal professor Marcello Farina, docente emerito del Corso Superiore di Scienze Religiose di Trento, mercoledì 23 novembre alla Fondazione Bruno Kessler di via s. Croce. Un tema audace, sorretto dall'intuizione che "si serve la verità, non si è asserviti a essa", come ha sottolineato nel saluto introduttivo la direttrice Milena Mariani.
Più che una "lezione", Farina ha proposto un "inizio per un'indagine sulla fede che rimane un mistero nel mistero", traendo spunto dalle parole di Mohamed e Orietta, una coppia islamo-cristiana: "Nel nostro pellegrinare verso la verità, ciò che ci accompagna è il senso di umiltà. Senza l'umiltà è impossibile incontrarla".
Nella nostra epoca, caratterizzata dal pensiero debole, e dal rischio di un pensiero forte che confida solo nella forza della ragione, occorre una nuova prospettiva individuata da Farina nel pensiero umile, capace di mettersi in ascolto, di accogliere critiche e restituire fiducia alle capacità umane: "Nella post-modernità, il pluralismo è un dato di fatto ed è irrinunciabile, ma la verità non si possiede – non è nei dogmi di fede, né nel dogma del progresso -: ci possiede".
Il pensiero umile è il pensiero di un soggetto che scopre di essere tale solo attraverso la relazione con l'altro, lascia spazio all'inquietudine umana, custodisce l'attesa di Dio non imprigionando la rivelazione dentro schemi onnicomprensivi e trova fondamento teologico nel Dio che si incarna. "La verità è al servizio, è comunione e le relazioni di Gesù, improntate all'ospitalità del quotidiano, lo rendono evidente. Si tratta perciò di inserirsi nel mondo non contro gli altri, ma ascoltando: la spogliazione lascia il campo libero all'azione di Dio e riconoscersi cercatori di Dio fa acquisire l'umiltà della condivisione"
E allora, come comunicare una verità da condividere senza umiliare, imporsi, ferire? "Occorre un magistero in cammino, in ascolto della Parola che viene dal basso attraverso domande, dubbi, richieste che si traducono in vita vissuta, ricordando che Gesù di Nazareth è via, verità e vita, ossia via che porta alla verità, all'autenticità, alla pienezza della vita". La via da percorrere è, dunque, quella della relazione e l'umiltà sta anche nel saper accogliere la provvisorietà delle nostre verità, accettando che siamo in cammino verso la verità e, dopo ogni passo, essa si sposta come se fosse il solo modo attraverso il quale la ricerca può continuare: "L'esperienza della fede insegna che la verità non è fissabile per sempre né può sottrarsi al tempo e al confronto, essa, infatti, si esprime nella ferita aperta del linguaggio e della storia in cui si incarna, perciò è necessario restare aperti al cambiamento, pena la stagnazione e la morte".
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