Nel maggio del 1524 il frate agostiniano trentino Nicolò Scutelli dimorava nel convento di San Marco in Trento. Era segretario dell’Ordine Eremitano di Sant’Agostino, trasferitosi da Roma a Trento su richiesta del principe vescovo Bernardo Clesio, che lo voleva come suo consigliere personale, al quale affidare l’organizzazione del secondo sinodo diocesano previsto per il 1525.
I frati di San Marco, all’unanimità, lo scelsero subito come loro priore. Una pesante responsabilità, perché doveva garantire il buon governo in un cenobio indisciplinato e preservare l’integrità dei fondamenti dottrinali messi in discussione dal nuovo verbo dei riformatori tedeschi. Nel principato vescovile e nello stesso convento, infatti, si registravano più che manifeste adesioni alle tesi di Lutero, le cui posizioni erano conosciute e lette clandestinamente non senza atteggiamenti di simpatia.
Riconfermato priore per un secondo mandato frate Nicolò mise mano ad un profondo scritto di notevole ampiezza di 64 brani di commento ai vangeli che vanno dall’Avvento alla Quaresima dal titolo “Meditationes et visiones in Apocalypsim” (in corso di stampa). Inizia a scrivere il 24 novembre 1527, vigilia della prima domenica di Avvento: sullo sfondo le fiamme e la distruzione e la morte provocati dai Lanzichenecchi calati nel cuore della cristianità. E poi gli effetti dolorosi della guerra rustica del 1525 che si era abbattuta nel principato vescovile.
I temi che tratta nelle Meditazioni risentono delle ripercussioni religiose e politiche, causate dalla definiva rottura di Lutero con la Chiesa di Roma avvenuta con la pubblicazione della Disputatio pro Declaratione Virtutis Indulgentiarum (theses 95) esposte sulla porta della chiesa di Wittenberg il 31 ottobre 1517. Fra Nicolò che le menziona nel sermone del venerdì della IV domenica di Quaresima, mostra di aver letto e studiato quanto elaborato dal confratello tedesco, ripreso nell’incipit dell’opera: «Una tromba annuncia: poenitentiam agite (fate penitenza) è vicino il Regno di Dio». Proprio come scrive Lutero nella prima tesi: «Dominus et Magister noster Iesus Christus, dicendo poenitentiam agite, omnem vitam fidelium poenitentiam esse voluit».
Impressiona il numero delle fonti utilizzate da frate Nicolò in queste riflessioni: centinaia quelle bibliche (specialmente i Salmi e san Paolo), ma pure abbondanti anche quelle riferite alla produzione dei Padri della Chiesa, dei teologi medievali, e pure le citazioni dei classici greci e latini.
Frate Scutelli è consapevole che il luteranesimo lacererà l’integrità della chiesa di Roma tanto da farlo esclamare «quanto sangue dall’eresia luterana!». È altrettanto convinto che la chiesa di Roma versava in uno stato di corruzione e disorientamento e che la sua rinascita non poteva prescindere da una rigenerazione profonda con la penitenza e la conversione, sulla stessa lunghezza d’onda del confratello tedesco Martin Lutero. Come molti suoi contemporanei invoca un Concilio per risolvere molti problemi teologici per la pace nella Chiesa.
Nicolò Scutelli muore nell’aprile del 1542, un mese prima dalla promulgazione dell’apertura dell’assise conciliare tridentina. Come Egidio da Viterbo era convinto che un Concilio può ristabilire un retto ordine.
Domenico Gobbi
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