Mentre viene inaugurata in Duomo la nuova Via Crucis, opera dello scultore gardenese Paul Dë Doss Moroder, voluta dal capitolo della cattedrale a memoria del Giubileo della misericordia ma non certo da tutti gradita, sta per concludersi la mostra “Ascolto la vita. Scolpisco ciò che sento”, con le stazioni della Via Crucis di Othmar Winkler. L'espressivo capolavoro del 1952 dell'artista di Brunico (1907-1999) è esposto al Museo Diocesano Tridentino fino al 14 novembre: si tratta di una delle opere più importanti, originali e discusse dell'arte sacra trentina del Novecento.
Il percorso della mostra si compone di tutte le 16 stazioni (due in più – il Prologo e l'Epilogo – rispetto alle consuete 14), scelta dell'artista che provocò l’indignazione del clero e l’ostilità del pubblico, incapace di comprendere un’interpretazione forse troppo ‘moderna’ del tema sacro proposto. Ciò che catalizzò le critiche dell’ambiente ecclesiastico fu soprattutto il linguaggio artistico dell’opera: di rottura, molto distante dalla rassicurante, serena ‘bellezza’ della produzione sacra del tempo. Questa opera complessa e articolata era al contrario profondamente segnata dalle contraddizioni e dalle angosce dell’uomo contemporaneo, introduceva riferimenti apertamente critici ad un mondo diviso in blocchi contrapposti, si poneva in modo assai distante dalla torpida, se non cieca e sorda, Chiesa di allora, il Concilio Vaticano di là da venire. Dal punto di vista stilistico era aspra, acida, voleva essere conturbante e ci riusciva. L’artista non si prestava a cantare le lodi ad un mondo non vero, vi trasponeva la propria sofferta storia spirituale segnata da una radicale presa di coscienza del Fascismo, al quale si era avvicinato in gioventù, come Male e da una intima, travagliata conversione “morale oltre che politica” verso la libertà.
Se si guarda questa Via Crucis con gli occhi di oggi ci si rende subito conto di quanto essa sia in sintonia con il contemporaneo, sia per la simbologia che utilizza sia per i temi che tratta: è un’opera che precorreva i tempi sia dal punto di vista politico e sociologico che da quello artistico.
In seguito alle critiche ricevute, il Maestro, assai amareggiato, abbandonò per sempre l’arte sacra e il legno per farsi scultore in bronzo di soggetti mitologici o profani.
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