“Testimone” del valore dell’esistenza. Ha fondato l’associazione Pro.di.gio.
“Anche se inchiodato alla carrozzina, era un cantore della vita senza limite, attento a donare speranza, tanto che era arricchente incontrarlo”. Tutti si sono ritrovati nelle parole con cui don Lino Zatelli, “suo” parroco a san Carlo di Trento ha salutato nel funerale di lunedì scorso Giuseppe Melchionna, per gli amici Pino, scomparso a 59 anni.
Tanti giovani trentini lo avevano visto salire in cattedra, con la sua carrozzina, negli incontri di prevenzione nelle scuole, a raccontare com’era cambiata la sua vita dopo l’incidente stradale che il 13 luglio 1979 lo aveva reso tetraplegico. “Non mettere mai a repentaglio la vostra vita – concludeva – non seguite l’effetto branco, non imitate il bulletto del gruppo o i modelli dei campioni spericolati esaltati dai media. La vita è unica e irripetibile, vale molto, molto di più”.
Dentro quelle mani prive di forza, sprigionava l’energia vitale di chi oltre un anno di ricovero dopo il trauma voleva testimoniare la scelta di vivere per gli altri. “Da quella lunga riabilitazione – ci spiegava in un’intervista per Vita Trentina – sono scaturite delle risorse anche per me inaspettate. Amo la vita, e soffro quando vedo che i giovani non ne sentono la responsabilità; è un dono – dico loro – del quale dobbiamo essere buoni amministratori”.
È diventato un paladino per tanti disabili e meno, ha bussato alle porte della politica e delle autorità locali per i diritti di chi non aveva voce, “mai fermo – come ha detto ancora don Lino -, sempre attento a stimolare, provocare positivamente, arricchire le istituzioni con le sue intuizioni profonde”.
Una era stata la creazione di una redazione allargata che arrivò – con l’aiuto di tanti giovani coinvolti attraverso il servizio civile in un cammino anche formativo – a pubblicare per molti anni la testata Pro.di.gio, acronimo che significava Progetto di Giornale. Un periodico davvero stimolante e unico, collegiale ma diretto da Pino, che riusciva anche a coinvolgere tanti colleghi come noi per dare voce a chi aveva meno voce. “Considerava prodigio anche la vita – ha ricordato don Lino – nutrita da una fede quotidiana e necessaria, mai bigotta, nutrita dall’Eucaristia domenicale”.
In una delle tante testimonianze per Vita Trentina o per la radio ci aveva confidato: “Se prima dell’incidente ero un cristiano appena praticante, dopo Dio è diventato come il filo conduttore della mia vita. Attraverso la famiglia e gli amici – ho imparato che quelli veri si contano sulle dita di una mano – ho ritrovato fiducia. E l'itinerario spirituale mi ha aiutato ad accettare questo misterioso disegno di Dio sopra di me. Un passo importante è stato scendere ad un compromesso con il mio limite; gli ho permesso di impadronirsi del mio corpo, ma non gli ho concesso la vittoria su di me".
Sulle tante lettere, mail, telefonate che gli arrivavano diceva: "Non ci avevo mai pensato prima, ma ho sentito che Dio poteva servirsi di una persona qualunque come me per raggiungere altri giovani. Per dare speranza nelle prove difficili. Vedo troppi giovani zombie in giro, mi fanno tanta tristezza. La mia storia colpisce gli studenti, ma non voglio che sembri una paternale. Vorrei incontrare i loro bisogni più autentici, testimoniare che è possibile uno stile di vita diverso, positivo, allegro, senza dover ricorrere alla birra o ai grappini".
Ai giovani spiegava che "la vita non è come un videogioco, dove anche dopo la scritta ‘game over’, gioco finito, puoi sempre ricominciare. La vita ci è stata donata una sola volta, non dobbiamo buttarla via".
A conclusione dell’omelia il parroco ha osservato che per Pino si è realizzata la parola di Gesù: “Alzati e va, la tua fede ti ha salvato. Giuseppe si è alzato, la sua fede lo ha salvato”.
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