Il racconto di una famiglia trentina che lo scorso anno ha accolto nella propria casa un giovane del Gambia: “Lo consigliamo ad altri, certamente!”
Fra le testimonianze di accoglienza che saranno presentate venerdì 7 ottobre alle 20.30 al Garden Tuttoverde di Ravina con brani di Fabrizio de Andrè, anche quella della famiglia Zanoner. Francesca e Bernardo con i figli Alessandro, Giacomo e Michelangelo hanno aderito alla proposta della cooperativa Progetto ’92 di offrire non solo una soluzione abitativa ad un giovane neomaggiorenne in uscita da uno degli appartamenti gestiti dalla cooperativa, ma anche quel “nutrimento affettivo” che solo un contesto familiare/comunitario può soddisfare.
Come è nata l'idea di aprire le porte della vostra casa ad Omar?
Sì, ma riflettendo insieme ci siamo detti che era un’esperienza di accoglienza ancora più grande e interessante, visto che abbiamo anche dei ragazzi che hanno circa età di Omar e che accogliere non prevede che tutto sia già programmato all’inizio. Questo fra l'altro ci permetteva di essere vicini alla storia che sta capitando a tanti altri ragazzi come lui, di tentare di capire meglio quello che sta succedendo nel mondo. Quindi ci siamo buttati in questa avventura.
Con quale atteggiamento?
Per noi Omar era prima di tutto un ragazzo che in quel momento aveva bisogno di una famiglia; l’essere profugo comporta sicuramente molte attenzioni e discrezioni ma noi lo abbiamo visto da subito come persona, certi che per lui la nostra accoglienza potesse essere un’occasione privilegiata per integrarsi con calma e serenità. Non da ultimo Papa Francesco ci stimolava proprio in quel periodo a guardare con occhi particolari i profughi e noi abbiamo dato credito alle sue parole.
E i figli, come hanno vissuto la vostra decisione?
I figli grandi, di 22 e 20 anni, sono stati subito entusiasti, nonostante abbiano dovuto rinunciare a degli spazi in casa, mentre il più piccolo, 12 anni, era più sospettoso ma nello stesso tempo incuriosito.
L’esperienza è stata sicuramente positiva e importante. All’inizio abbiamo conosciuto da vicino la storia di Omar e la sua religione: abbiamo così colto quante difficoltà hanno i ragazzi come lui ad integrarsi per differenze culturali e per esperienza pregresse, abbiamo capito quanto sia difficile trovare lavoro, casa, amici, abbiamo capito quanto siano diversi i rapporti familiari dell’Africa.
Poi, col passare del tempo?
Ci ha sorpreso soprattutto che si può vivere con un ragazzo africano musulmano in pace e in serenità, se da ambo le parti c’è voglia di stare insieme, di volersi bene e apertura, si scopre di avere tanto in comune a livello di desideri e visioni della vita, pur nella diversità personale e culturale. Infine, accogliere in casa un ragazzo profugo fa vedere le cose in modo diverso, si è stimolati a chiedersi ragione di tutto; tutto questo avviene nella quotidianità, per cui diventa scontato discutere di ciò che capita tutti i giorni, parlare di musica o di ciò che si pensa, anche di ciò che succede nel mondo…e anche scherzare e prendersi in giro.
Avete incontrato delle difficoltà? Quali?
Non molte; in alcuni momenti ci sono stati diversità di comunicazione, di aspettative, di abitudini o prescrizioni religiose. C’è stato un periodo in cui Omar intratteneva lunghe telefonate con parenti lontani.
5.Avete dovuto modificare le vostre abitudini familiari?
3 Di poco, in verità; abbiamo dovuto rinunciare ad una stanza, normalmente adibita a studio, e cerchiamo di sfruttare meglio il soggiorno tutti insieme… Un po’ di pazienza in più nell’uso degli spazi comuni e negli orari e meno carne di maiale nella spesa! Abbiamo però cercato di fare tutto normalmente.
Lo rifareste? Proporreste ad altri la stessa esperienza?
Sicuramente lo rifaremmo e proporremo anche ad altri la stessa esperienza, anche se ad alcune condizioni.
Quali?
Dal punto di vista pratico, come ha detto papa Francesco, basta avere un letto e un posto in più a tavola. E noi in parte lo avevamo o lo abbiamo creato. Per l’età che ha Omar non serve molto altro, solo un po’ di calma, pazienza, speranza, voglia di fare, un po’ di tempo libero… In realtà scavando in profondità ci siamo chiesti spesso cosa ci ha dato la spinta e la forza per fare questa esperienza con questo atteggiamento e crediamo che siano molti i fattori in causa: innanzitutto un’educazione che viene da lontano, dalle nostre famiglie di origine, poi le esperienze di volontariato e di servizio; avere amici che fanno esperienze simili e/o su cui può contare; lo staff di Progetto 92 che ha prima di tutto valutato la compatibilità del ragazzo con la vita di famiglia e che ci ha successivamente accompagnato. Importante è stato anche cercare di essere liberi da pregiudizi e condizionamenti culturali spesso contrari. Infine molta chiarezza su poche cose… Ma tutto funziona anche sicuramente perché abbiamo anche avuto delle condizioni favorevoli: al primo posto Omar, molto educato, curioso, molto sensibile e con una buona conoscenza dell’italiano, poi tre figli maschi aperti e molto socievoli… un appartamento vicino ai servizi principali.
E’ stato utile avere alle spalle un’organizzazione?
Sì! Sicuramente è molto importante avere qualcuno che conosca gli aspetti burocratici della realtà degli extracomunitari. Poi l’organizzazione inizialmente si è resa disponibile per seguire la ricerca lavoro di Omar e per proseguire nel fargli compagnia dandogli piccole occupazioni. A noi è servito sapere di non essere soli, con qualcuno che in modo professionale ma anche molto umano ci ha seguito.
Cosa può aiutare i giovani che arrivano da culture così diverse ad integrarsi positivamente?
E’ la domanda più difficile… su cui si stanno interrogando milioni di persone. Sicuramente essere parte di una famiglia può essere un’opportunità per conoscere bene le nostre abitudini, imparare la lingua, cogliere quali sono per noi le priorità e i valori più importanti. Oltre alla famiglia, poi, sono sicuramente importanti tutti i momenti aggregativi (feste, incontri…); in particolare poi è anche necessario frequentare un corso di lingua e cultura italiana e anche praticare qualche sport. Il lavoro dovrebbe poi risolvere tutto… piano piano. Ma soprattutto, al fondo, pensiamo che la cosa più importante sia il sentirsi accolti e voluti bene, senza pregiudizi e pretese. Crediamo ci voglia molta apertura da parte di chi deve integrarsi e molta fiducia e pazienza da parte di chi è qui da sempre.
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