Il referendum costituzionale si terrà il 4 dicembre. Un’occasione per Renzi per testare la tenuta della svolta che ha cercato di imprimere al paese
Con la definizione della data del referendum costituzionale il governo, più in specifico Matteo Renzi inizia la sua campagna, ma sarebbe meglio dire la sua sfida per testare la tenuta della svolta che ha cercato di imprimere al paese.
Il 4 dicembre non è naturalmente una data scelta a caso, ma l’opzione che meglio si confaceva a consentire al governo di raggiungere due obiettivi: 1) mostrare con la legge di stabilità quali sono le strategie economiche che è in grado di mettere in campo; 2) ricondurre la campagna ad un confronto molto personalizzato fra chi incarna il nuovo e chi la conservazione.
Il primo punto è ovviamente importante, perché vuole sottolineare che l’attuale leadership politica è in grado di non fare chiacchiere, ma di mettere in campo strumenti che portano risultati. C’è una certa fiducia che nei prossimi due mesi ci possa essere un po’ di ripresina, si conta che la UE alla fine sia costretta a concederci un po’ di flessibilità di bilancio, si pensa di poter annunciare interventi importanti in grado di portare molto consenso. Ci saranno anche le consuete “mance” elettorali (interventi spot per compiacere un po’ di attese), ma saranno condite da quello che vuole essere un robusto piano di interventi senza il quale difficilmente l’Europa ci darà copertura.
Ci si chiede ovviamente se la gente sarà in grado di cogliere questi miglioramenti, ma si conta che i gruppi dirigenti del paese si adoperino per farglieli capire. L’aspettativa è un po’ rischiosa a nostro avviso, perché la parte in commedia di coloro che ricevono benefici prevede che si lamentino che non sono abbastanza (giusto per evitare che poi glieli riducano). Può darsi però che questa volta si sia più fortunati. Qualche segnale c’è: molti ceti dirigenti, economici, sociali, religiosi, lasciano capire, nei modi dovuti, che l’instabilità che seguirebbe una sconfitta referendaria della riforma non è quanto ci si possa augurare.
Renzi, che non è uno sprovveduto, ha pensato proprio per questo di rivedere la sua strategia. Dopo aver prestato un po’ di ascolto a chi voleva che spersonalizzasse la vicenda, ha concluso che doveva restare al centro della scena, perché era l’unica condizione per mantenere la visibilità della battaglia fra bene e male che ormai è la cifra dei confronti politici.
In questo riceve sostegno continuo dai suoi avversari, che non cessano di proclamare che la sera del referendum se la riforma sarà bocciata finirà l’avventura politica dell’attuale premier. E’ il collante che tiene unite le variegate forze che sostengono il “no”, perché di confronto sul merito ce n’è pochino (per essere ottimisti). Un aiuto decisivo gli è adesso arrivato da Grillo che ha scelto di tornare a tutti gli effetti al centro della scena.
Il populismo dell’ex comico è più efficace di quello di Salvini per muovere gli istinti del pubblico, perché non è caratterizzato dalle parole d’ordine della nuova destra che il leader della Lega ha preso dalla Le Pen. Non è una differenza da poco perché i sentimenti diffusi nel paese preferiscono le proiezioni vaghe sul futuro alle sanguigne invocazioni alle ruspe come risolutrici dei problemi sociali. In fondo la grande leggenda sul “complotto universale” a causa del quale siamo in un mare di guai funziona sempre: è la versione laica del vecchio “la colpa è sempre del diavolo”.
Un paese che ha poca fiducia nella classe politica, che ha introitato più di quanto si creda la filosofia del “piove governo ladro”, non ha molti anticorpi per difendersi dalle intemerate del Grillo nazionale. I suoi seguaci non hanno grande originalità nel replicarlo, ma sono giovani e facilmente incarnano la sfida di chi si presenta come puro e vergine contro i “navigati” della politica. Magari poi quando li si vede in azione, come a Roma, ma non solo, non danno una immagine così attrattiva, ma scatta la leggenda che la colpa è sempre degli altri e ci si autoassolve collettivamente.
Renzi dunque ha trovato i duellanti che gli servono per una politica dove nessuno crede troppo ai contenuti. Ce n’è per tutti i gusti: da D’Alema alla Raggi, la galleria offre un’ampia scelta.
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