La coalizione che lavora per respingere la riforma costituzionale è una vera e propria armata Brancaleone
Per quanti sforzi si mettano in campo la politica italiana non riesce a sottrarsi alla tentazione di istigare allo sfogo della rabbia. E’ uno dei fenomeni più conosciuti nella storia: quando c’è una situazione sociale tesa, quando le persone vivono l’angoscia del proprio futuro, i politici cadono facilmente preda del richiamo allo sfruttamento di quelle passioni. Si potrebbe dire che in genere porta risultati pessimi, ma non serve a fermare il fenomeno.
Dunque ora siamo di fronte alla vicenda sul presunto “ricatto” che gli altrettanto presunti poteri forti starebbero facendo all’Italia: se nel referendum costituzionale vinceranno i contrari il paese rischia molto sul piano della ripresa economica. In realtà chi fa presente questo rischio ragiona semplicemente su ciò che potrebbe succedere una volta che, a causa della sconfitta delle posizioni del governo in carica, Renzi si dimettesse come peraltro è doveroso faccia.
Lasciamo perdere per un momento il curioso argomento per cui prima si è detto che la questione costituzionale non doveva essere un tema del governo e poi se ne fa lo strumento per far cadere il governo. Era semplicemente un gioco di parole, perché si sa benissimo che più o meno in tutte le riforme di un certo peso (e quella in campo indubbiamente lo è) non si da mai il caso di un governo che dica “fate un po’ come volete”: ci vorrebbe un governo che fosse espressione anziché delle forze politiche presenti in parlamento grazie alle elezioni, di un qualche monarca a cui solo deve rispondere. Ovviamente uno scenario che almeno dall’Ottocento in poi si è visto molto raramente (per essere precisi è esistito solo nella costituzione predisposta da Bismarck per l’impero tedesco).
Veniamo al cuore del problema che è la stabilità del sistema politico. In astratto non ci sarebbe nessun problema per la caduta del governo Renzi: non è il messia, non ha alcun diritto a rimanere al potere a qualsiasi costo. In concreto però la questione è se fatto cadere Renzi si è in grado o meno di mettere in piedi un governo alternativo degno di questa posizione. La domanda che viene posta a livello internazionale e anche fra gran parte dei ceti dirigenti del paese è esattamente questa.
Ora tutti vedono che la coalizione che lavora per respingere la riforma costituzionale è una vera e propria armata Brancaleone, che va dall’estrema destra all’estrema sinistra, da giuristi ed intellettuali che hanno obiezioni sulle soluzioni individuate ad altri che semplicemente disprezzano Renzi che vedono come l’incarnazione di ogni nefandezza (quelli che lo paragonano a Pinochet vanno perdonati, perché, poveretti, non sanno di cosa parlano). Può uscire da questa compagine una maggioranza parlamentare in grado di produrre non un qualsiasi governo, ma un governo che abbia l’autorevolezza per gestire la difficile situazione economica (per tacere di quella internazionale) con cui dobbiamo convivere?
Ben pochi si azzardano a dire che questo sarà possibile. Chi difende la posizione del “no” al referendum sostiene, talora in buona fede, molte volte in mala fede, che a livello parlamentare sarà possibile dar vita ad un governo di tregua e transizione (il cosiddetto “governo di scopo”) che regga il paese per un po’ di mesi, quelli necessari per fare nuove leggi elettorali: quella per modificare l’Italicum, ma soprattutto quella per l’elezione del senato nella formula attuale, perché ora siamo al risultato necessariamente debole che è uscito dalla bocciatura del Porcellum alla Consulta. Poi si andrebbe ad elezioni anticipate e si vedrebbe come scelgono i cittadini.
Perfetto sulla carta, se non ci fosse una obiezione sostanziale: quanti mesi sono necessari per questa operazione? Tra consultazioni del presidente della repubblica e dibattito parlamentare sulla nuova legge realisticamente minimo, minimo tre mesi. Poi c’è la procedura di scioglimento: un altro mesetto. Poi il tempo per la campagna elettorale: altri tre mesi. Qualcuno pensa che nella situazione attuale l’Italia possa stare sette mesi preda alle convulsioni politiche che tutto questo comporta e dei veleni di una campagna elettorale permanente che abbiamo già visto all’opera?
La faccenda è tutta qui e si può ben capire perché nelle sedi internazionali e nelle classi dirigenti del paese si viva la situazione con grande preoccupazione.
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