Colpiscono, nel grigiore appena attenuato da una giornata di sole curioso e quasi beffardo in tanto disastro, i colori della nuova scuola di Amatrice. Colpiscono per la rapidità della loro messa in opera, colpiscono per la loro sobria forma fin troppo razionale, ma efficiente, colpiscono perché sono un segnale, non retorico, di ritorno a una quasi normalità e, forse, a un seme di rinascita. Ma colpisce ancor di più la voce rotta dall’emozione del responsabile della Protezione civile trentina Stefano De Vigili nel descrivere le fasi del lavoro, colpisce il sorriso buono e sincero di chi ci ha lavorato concretamente, colpisce lo sguardo stupito di quelli che sbirciano all’interno della struttura.
Diciamolo però francamente: tutto è stato anche possibile per quella combinazione di situazioni che ognuno potrebbe appellare, a seconda del proprio pensiero, come fato, destino, casualità o – per noi – Provvidenza. I container dismessi dall’Università sono all’inizio di tutto e, inconsapevolmente, diventano protagonisti di un successo insperato. E mi piace pensare che questo, per fato, destino, casualità o Provvidenza, si sia fortunatamente e fortemente coniugato con la generosità, l’efficienza, la straordinaria capacità di costruire solidarietà che caratterizza la terra trentina e la sua gente.
La scuola, in ogni luogo della terra e con tutti i suoi limiti, è il centro e la speranza di una comunità. E’ un luogo privilegiato d’incontro. Costruire una scuola vuole dire poter costruire relazioni, prospettive, ma anche speranza e futuro.
Non sottovaluto i nuclei di psicologi mandati “a sostegno dello sviluppo personale e cognitivo”: preferisco però lo sguardo di un nonno in attesa all’uscita, la carezza della maestra dopo le prime lacrime, la risata degli amici che bonariamente ti aspettano, la mano nella mano dei tredicenni, l’attesa ansiosa dell’incontro con la “più carina” della classe, un preside che ti saluta ogni mattina e diventa “quasi” un amico, un professore che sa ridere con te e richiamarti ad essere ogni giorno migliore, una bidella che ti rincorre per restituirti la felpa abbandonata sul banco. La scuola, all’ingresso e all’uscita, è spesso un condensato straordinario di umanità positiva. Il compito ineludibile è che anche dentro la scuola questa umanità positiva prenda piede con la forza della cultura e dell’imparare.
E questo ad Amatrice come a Trento. In questa “normalità” ritrovata, vorrei che i bambini e le bambine, le studentesse e gli studenti, entrando in questo edificio che sa di buono e di pulito come l’odore di ogni primo giorno di scuola, trovassero sguardi dolci e accoglienti, risate, capacità professionali, persone stimolanti e attente a far crescere, con rigore e professionalità, ogni seme di capacità deposto in ciascuno. La scuola è anche il luogo dove non ci si può sentire soli. E in una terra devastata, con l’autunno incombente, la solitudine comincerà a penetrare, come il primo freddo, non appena le luci di una ribalta fatta di inviati speciali, autorità, cantanti e curiosi, si cominceranno a spegnere.Questa scuola significherà allora non solo avere un riparo, un aiuto, ma sarà anche un raggio di sole.
E’ utile e responsabilizzante la Colletta straordinaria promossa domenica 18 in tutte le parrocchie della Chiesa italiana. Certamente i soldi servono, ma occorre soprattutto non sentirsi soli, sentirsi ricordati, sentirsi parte di un mondo senza confini. Quando i soldi saranno arrivati ad Amatrice, sarà ancor più necessario non far mancare la nostra vicinanza, la nostra attenzione, magari programmando momenti di scambio con le nostre scuole, magari scrivendo, lettere, parole, messaggi da stampare nel cuore, magari guardandosi semplicemente e silenziosamente negli occhi, da vicino. Entrando nelle nostre belle scuole in Trentino vorrei ci ricordassimo di tutto questo o sarà tutto fato, destino, casualità…o Provvidenza.
Paolo Rasera
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