Il nuovo romanzo del trentino Alvaro Torchio indaga liberamente nell'anima inquieta del letterato Torquato
Uomo tormentato e paranoico quanto geniale. Tanto da pensare, nella sua follia, che la “Gerusalemme liberata” che andava scrivendo fosse nell’occhio dell’Inquisizione e chiederne, volontariamente, il giudizio, pezzo a pezzo. Pur non risultando, agli atti, che i custodi della Controriforma ne avessero mai chiesto la revisione. Sarà stato per un’infanzia difficile a causa del bando dal Regno di Napoli che colpi la famiglia, il padre Bernardo, pure lui letterato e cortigiano, o per la morte prematura della madre, o chissà per che altro, ma Torquato Tasso i suoi demoni se li portò fino alla tomba. E, vai a sapere, magari fu proprio quel groviglio dell’anima che scatenò la poesia e che lo ha fatto arrivare fino a noi, sin dentro le antologie scolastiche, per non uscirne più.
“Luce e tenebra. Vita di Torquato Tasso” (pubblicato da “Manni” di San Cesario di Lecce; 16 euro, da poco in libreria) è, per ora, l’ultimo romanzo, in questo caso biografico, del trentino Alvaro Torchio, per quasi quarant’anni insegnante di materie letterarie e da pochi giorni in pensione. Se all’autore si chiede perché mai abbia affrontato la vita del gran cortigiano – servito, riverito ma anche invidiato, credente ortodosso e libertino da par suo, versatore formidabile alla corte degli Estensi per quanto spesso irritato e “immalinconito” dagli intrighi che in ogni buona corte non potevano mancare – la risposta è semplice, conseguente. Domanda legittima perché i precedenti racconti dell’autore viravano al giallo, si occupavano di tutt’altro. Di Marx ed Engels e non in veste di scienziati politici e filosofi ma di investigatori impegnati a risolvere casi su casi (“Marx ed Engels: indagini di classe”, “Marx&Engels, investigatori”) oppure di altri tipi di intrighi, quelli di una misteriosa fazione gesuitica (“Vivaldi e il segreto del Nuovo Mondo”). Risposta, coerente: “Ho sempre amato la poesia, mi è congeniale”. Torchio si rifà a biografie precedenti, lascia andare la penna alla libertà narrativa, come è giusto che sia, se no non sarebbe un romanzo, riporta versi su versi dalle “Rime”, dall’’’Aminta”, dalla “Gerusalemme”, che fino ad un certo punto si chiamò “Goffredo”, di Buglione, in onore al condottiero belga che, in nome della cristianità, fu il primo crociato a dirigersi in Terra santa, correva il 1096. Per terminare con il poeta divorato dalla febbre sul letto di morte: “Il mattino del 25 aprile 1595, stringendo in mano il crocifisso lasciatogli da suo padre, Torquato iniziò a recitare l’orazione In manus tua Domine, ma non poté terminarla, sopravvenendo per lui la morte verso le ore undici, all’età di cinquantun anni, un mese e quattordici giorni”.
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