Nato a Nanno il 20 settembre del 1920, don Pierino veniva da una famiglia religiosa convinta e la sua formazione fu coltivata fino al seminario dal curato don Pio Zadra. Celebrò la Prima Messa nel 1944; nonostante il tempo di guerra, il paese fu abbellito, con bandierine e giovani conifere lungo le strade e nella piazza, dove dai coscritti fu eretto davanti all’antica chiesa di S. Biagio un arco con la scritta “Don Pierino novello ministro di Dio proteggi i tuoi cari e la tua Patria”.
Due anni dopo fu nominato curato di Cunevo, dove rimarrà per trent’anni: la canonica diventò punto d’incontro per la comunità non solo del suo paese, ma anche per tanti giovani della valle perché sentivano che quel prete di campagna aiutava a capire le trasformazioni della società e a maturare una fede religiosa adeguata a vivere i cambiamenti, cogliendo specialmente gli aspetti positivi.
Era un sacerdote colto e capace di stimolare la ricerca in molteplici settori della conoscenza, compreso il sapere scientifico che in quei periodi produceva risultati inconcepibili solo pochi anni prima.
La sua figura, apparentemente fragile, trovava nella verità evangelica una grande forza che egli traduceva con la parola illuminata, ma soprattutto con l’esempio di vita coerente.
Aiutava tutti, sia ascoltando con premura i loro problemi sia materialmente, fino a privarsi del necessario. La canonica di Cunevo era sempre aperta. Anche molti giovani andavano a trovarlo per dialogare con lui; si affrontavano problematiche adolescenziali, aspetti sociali ed economici (era il periodo del cosiddetto boom economico, ma anche della contestazione studentesca e della rivoluzione culturale, con rivendicazioni di maggior diritto allo studio per tutti, indipendentemente dall’estrazione sociale, e, nella chiesa, dell’affermarsi soprattutto nell’America Meridionale della teologia della liberazione). Si discuteva per ore, fino a notte fonda e don Pierino non si stufava mai di ascoltare e di affrontare ogni aspetto, dimostrando una vasta e profonda preparazione, molta sensibilità e comprensione per il nuovo che avanzava, tenendo tuttavia sempre la rotta indicata dalla dottrina sociale della Chiesa.
Era costantemente accanto ai deboli e ai bisognosi. Incoraggiava e stimolava l’impegno personale per dare il meglio di sé; era convinto che si potesse progredire, confidando nell’aiuto della Provvidenza e della Carità, ovvero sia nel sapere che il vero bene non è mai individuale ma comunitario, di tutti per tutti, perché solo così si realizza l’essenza del Cristianesimo.
La sua insospettata energia e vitalità si sprigionava soprattutto quando si metteva all’armonium per accompagnare il coro parrocchiale. Pigiava sui pedali per ore (le messe cantate in polifonia potevano durare anche più di un’ora e mezzo)e in mancanza del capo coro, dirigeva lui con il cenno del capo; voleva voci educate e attente ai coloriti delle partiture, ma soprattutto consapevoli dei significati della parola e della comunicazione.
Ancora prima del Concilio Vaticano II (e dopo, rirendendone le intuizioni), insegnava con infinita pazienza che il canto liturgico era preghiera, anzi ricordava il famoso detto “Chi canta prega due volte”.
La sua scomparsa va letta alla luce delle parole che don Pierino ripeteva spesso per dare speranza all’interlocutore, riferendosi alla liturgia dei defunti: “Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata: e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo”. Tante persone che hanno conosciuto don Pierino lo sentono ancora presente per la testimonianza di vita coerente con il suo insegnamento e lo considerano come il faro per i naviganti.
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