È festa per i tre preti novelli che vengono ordinati sabato 18 alle 15 in Cattedrale, i primi per l'imposizione delle mani di mons. Tisi: li abbiamo incontrati alla vigilia per conoscere da vicino i loro sogni e le loro radici
L'evento è ghiotto, il menù senza sorprese, se non quelle dello Spirito Santo che sostiene i tre giovani trentini pronti ad essere ordinati sacerdoti sabato 18 giugno alle 15. Li abbiamo incontrati alla vigilia del loro “ritiro” spirituale – contemporaneo a quello degli azzurri agli Europei, ma di ben altro spessore – e abbiamo chiesto loro di raccontare ai microfoni di Trentino inBlu le loro radici e i loro sogni.
Siete i primi tre preti ad essere ordinati dal nuovo Arcivescovo: come guardate a mons. Lauro?
MASSIMILIANO: Da vicario lo conoscevamo relativamente poco, non avendo molte occasioni d'incontrarlo. Eppure ha sempre suscitato in noi una certa ammirazione per il rapporto che ha con la gente, per la passione che riesce a trasmettere per la Parola di Dio e per quell'umanità di Cristo che anche noi vorremmo provare a incarnare.
L'avete incontrato recentemente?
DANIEL: Sì, nei colloqui prima dell'ordinazione in particolare ci siamo sentiti accolti con le nostre storie e con le nostre vite. Abbiamo avvertito nelle sue parole la sua vicinanza al seminario in cui ha operato per molti anni.
FRANCESCO: Io lo ricordo anni fa quando predicava alla “Scuola della Parola” per i giovani della città, esprimendo la sua capacità di testimoniare la Parola di Dio anche attraverso i giovani; lo ha ribadito il giorno del suo ingresso in quello che tutti ormai chiamano “il discorso del giardino” (prima di recarsi in Cattedrale, n.d.r.). È molto attento anche ai giovani religiosi condividendo la sua idea di guidare la diocesi nei prossimi anni.
Francesco e Massimiliano abitavano a pochi metri di distanza nella parrocchia del Duomo dove sono cresciuti nei gruppi giovanili con il parroco don Luigi Facchinelli. Come leggete questa coincidenza?
FRANCESCO:
MASSIMILIANO: Abbiamo nominato don Luigi ma ricorderei anche don Michele Vulcan che allora era seminarista in mezzo a noi. Con lui abbiamo avviato un percorso forte.
È stata una piacevole sorpresa rendermi conto che Francesco avrebbe concluso il suo percorso insieme a noi due fino al sacerdozio.
Una domanda per fra Francesco: è meglio dire per te presbitero e frate minore o frate minore presbitero?
FRANCESCO:
Al recente Giubileo dei Sacerdoti il Papa ha parlato di messaggeri di misericordia: che significa?
FRANCESCO: Il primo atteggiamento è riconoscere che la misericordia è dono di Dio. Anche il sacerdozio è un dono che ha un punto di partenza: non siamo supereroi ma uomini che partono da una Chiesa concreta. L'idea di sacerdozio nasce a partire dal comune battesimo.
DANIEL: Importante è camminare insieme, farsi accanto alle persone ferite, ai poveri. Credo che questo sia il valore della misericordia, saper camminare accanto e ascoltare.
Dove li hai trovati i poveri, nel periodo di diaconato?
DANIEL: Ho fatto un'esperienza di accompagnamento a Casa Fiordaliso di Rovereto che ospita ragazze madri. Mi sono fatto accanto a loro, ai loro figi, mi sono sentito un po' padre. E ho accompagnato ascoltando quelle storie ferite che però trovano un filo d'erba, per tornare all'immagine iniziale (vedi riquadro, n.d.r.).
MASSIMILIANO: Riprendo lo stesso motto del Papa che dice che la misericordia ci è stata donata prima che noi potessimo donarla a qualcun altro altro. Mi piace pensare che anche la casula che riceverò sabato ci riveste di misericordia. Uno dei compiti dei sacerdoti è anche quello di implorare continuamente la misericordia divina: mi piace farlo anche in questi giorni di attesa per me e per le comunità in cui sarò inserito.
In val di Fiemme hai lavorato in mezzo ai giovani: come li hai trovati?
MASSIMILIANO: Sono giovani ricchi di iniziativa e di spirito, danno molto. Non li considero troppo bisognosi di aiuto, sanno camminare ed io voglio camminare con loro.
Quale viaggio vi ha segnato particolarmente nella vita?
FRANCESCO: Gioco in casa; mi viene da pensare alla Marcia francescana a piedi ad Assisi dove nel 2004 mi sono posto le prime domande. Di quel cammino ringrazio il Signore e lo consiglio per quest'estate a tanti ragazzi.
DANIEL: Il mio viaggio nel 2012 e 2013 in Brasile dove per un anno ho fatto esperienza di missione imparando uno stile di prete e di uomo che sta dentro le comunità. Ero in una favelas con due preti comboniani.
MASSIMILIANO: Io penso all'Africa di sette o otto anni fa con un'associazione trentina: pensavo già di entrare in seminario ma ho provato il contatto con una povertà reale che mi ha molto interrogato.
I gusti musicali: quale canzone – non ecclesiale – vi ha segnato?
DANIEL: La mia canzone parla di un viaggio. E il brano di Irene Grandi “Prima di partire per un lungo viaggio”, e prosegue dicendo “porta con te la voglia di adattarti”. Un testo che mi rappresenta, nel tentativo di volermi adattare ad ogni cultura ma anche alle comunità che incontrerò, senza volerle e disfare o rivoluzionare, ma entrandovi con delicatezza, in ascolto.
MASSIMILIANO: Io direi “Cielo d'Irlanda” di Fiorella Mannoia. Per il ritmo, per il senso di libertà che trasmette – queste nuvole bianche che corrono nell'aria, elemento che mi piace molto – e poi vi si parla di un Dio che suona la fisarmonica. Come diceva Francesco, un Dio che dà il tono giusto e poi suona la musica che siamo noi.
FRANCESCO: Amo la musica classica, ma direi “L'onda perfetta” dei The Sun perché chiacchierando con loro mi trovavo nelle loro storie. “Tutto combacia anche quando non sembra”, dicono, ma “con fede lo vivo”. Anche a noi capita alle volte di sentire la mano di qualcuno che ci sta accanto.
Domenica vedrete tanta gente alla Prima Messa: cosa vorreste dire a chi non riuscite ad avvicinare?
FRANCESCO: Un grazie. Lo dico a chi non potrà essere presente ma ci ricorda nella preghiera. Non è un dono scontato. Avremo presenti anche i volti di chi non ci sarà.
DANIEL: Dico grazie a loro anch'io per aver percorso un pezzo di strada insieme: in loro ho incrociato il volto di un Dio che si manifesta in maniera inaspettata.
MASSIMILIANO: Sul santino di un anniversario di sacerdozio ho letto: “Il prete non si appartiene”. Quindi dico grazie ma ricordatevi che non siete voi che siete qui per me, ma sono io che poi sarò per voi.
Avete scelto per il vostro annuncio il brano di Emmaus, vangelo di Luca al capitolo 24. Perché?
DANIEL: Insieme lo abbiamo riconosciuto in alcuni gesti, nel prendere qualcosa della nostra vita e nel prendere pezzi della vita degli altri e lì riconoscerlo.
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FRANCESCO IN UN’IMMAGINE: LA NOTA
Francesco viene da una famiglia di amanti della musica, ha studiato al Liceo Musicale e al Conservatorio. Facile trovare qui un'immagine per la sua vita: “Sì, la musica è un dono di Dio. Per un musicista sono importanti oltre al pentagramma una chiave – di violino o di basso – che è il Padre; una tonalità che è il Figlio e un tempo che è quello dello Spirito. Poi sopra ci sono le note della nostra vita, che possono essere dissonanti ma fan parte di questa grande sinfonia di Dio per ciascuno di noi”.
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MASSIMILIANO IN UN'IMMAGINE: LA PIANTA
Massimiliano si è laureato in Scienze Forestali: “Da agricolo di formazione, penso alla vocazione come ad un fiore e poi una pianta che cresce. Tutti noi vogliamo farla crescere ma abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti. Quel seme che è la Parola di Dio sento di volerla fruttificare in me. La mia vocazione nasce a contatto con la natura in uno stile un po' francescano”.
La salvaguardia del creato è stata al centro della sua tesi: “Mi piace molto il lavoro pratico e sono sicuro che ognuno deve spendersi non solo per guadagnare il pane ma pensando anche all'ambiente in cui viviamo; quanto facciamo serve anche a quanti abbiamo accanto. L'uomo lavoratore non è un selfista, che ritrova se stesso, ma s'impegna per il creato e per chi condivide questo momento storico”.
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DANIEL IN UN'IMMAGINE: L’ERBA
“Anch'io, come Massimiliano, prendo un'immagine dalla natura. Nei nostri condomini o nei piazzali incementati nascono fili d'erba: la tentazione è toglierli perché danno fastidio. Per rileggere la mia storia che è fatta di cemento e di sassi, rivedo quel filo d'erba. Per me è la forza del Risorto, un Dio che si presenta come qualcosa di fragile e di inutile, ma con la sua forza è in grado di rompere la mia durezza e la durezza dei cementi.
Gli anni del Seminario sono stati intensi: ho cercato di mettermi in discussione e ripensarmi, ho approfondito la mia relazione con Dio e la comunità è stato il luogo d'eccellenza dove ho potuto verificarmi. La comunità non è un post-it ma un luogo essenziale per misurarsi con se stessi, con Dio e con la gente”.
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