Al convegno promosso dal Partito socialista tesi non nuove, ma “estranee” alle polemiche di questi mesi
Se l’intenzione è indagare con serietà la figura di Cesare Battisti, contraddizioni comprese, guardando alle carte, quelle che gli scienziati chiamano fonti, anche interpretandole, ma lasciando perdere per un attimo le polemiche del momento (“traditore o eroe?”), buoni punti di partenza possono senz’altro essere le riflessioni che lo storico Fabrizio Rasera, presidente dell’Accademia roveretana degli Agiati, ha offerto al pubblico del convegno organizzato dal Partito socialista sabato 11 giugno nella sala Rosa della Regione a Trento (“Socialista trentino, italiano, europeo”), un mese prima della ricorrenza della sua morte per impiccagione, quasi cent’anni fa, il 12 luglio 1916 nella Fossa del Castello del Buonconsiglio.
Rasera si è soffermato in particolare, anche se non solo, sull’irredentismo battistiano, sul suo interventismo, la volontà di “promuovere” l’entrata nella Prima guerra mondiale dell’Italia contro l’Impero asburgico per riportare nel loro alveo naturale le popolazioni italiane d’Austria e, con esse, le città di Trento e Trieste. Ebbene, è emerso quanto l’irredentismo battistiano altro non sia stato che una forma di extrema ratio ad una situazione ormai non più risolvibile con mezzi pacifici ed istituzionali. Tesi non nuove, ma comunque “estranee” alle polemiche di questi mesi perché fanno della complessità il loro paradigma, ben poco riconducibile a “visioni” in bianco o nero.
Rasera ha sottolineato quanto il parlamentare socialista, in sintonia con la socialdemocrazia austriaca, abbia sostenuto con forza “una riforma dell’assetto istituzionale dell’Impero nella prospettiva di una salvaguardia delle nazionalità di cui era composto in chiave autonomistica, all’interno di uno Stato federale e nel segno del suffragio universale”. Tantoché, ha aggiunto, “fu all’inizio molto cauto nei confronti dell’irredentismo nel quale vedeva il seme di un radicalismo orientato al nazionalismo”. Il che, fatto un passo in più, ben si accompagna a quanto sostenuto da un altro storico, Vincenzo Calì, tra l’altro responsabile dell’archivio battistiano della Fondazione Museo storico del Trentino. Attualizzando, Calì ha detto: “In una regione alpina al centro dell’Europa come la nostra, la carta della pacifica convivenza trova il suo fondamento nella testimonianza di Battisti e nel testamento del suo erede politico Giannantonio Manci. Il federalismo europeo o, meglio, gli Stati uniti d’Europa sono le indicazioni che ritroviamo già nel pensiero della corrente del socialismo battistiano trentino”.
L’ex sottosegretario Mario Raffaelli si è invece soffermato sull’eredità del pensiero di Battisti. “Un’eredità – ha detto – impersonata dai socialisti trentini che, nel secondo dopoguerra sono stati in prima fila nella difesa della minoranza sudtirolese in Alto Adige ma anche nella convinzione che l’amore per la propria nazione non vada confuso con il nazionalismo”. “Sarebbe un grave errore – ha concluso Raffaelli – disperdere la cultura socialista battistiana che, insieme a quella cattolica, ha rappresentato per il Trentino il meglio della sua elaborazione politica”.
“Quella di Battisti – ha aggiunto l’assessore provinciale Sara Ferrari – è una figura purtroppo non conosciuta dalle nuove generazioni”. “Se Battisti fosse sopravvissuto al conflitto – ha sottolineato l’ex parlamentare e direttore dell’”Avanti OnLine” Mauro Del Bue – sarebbe stato il dirigente socialista a cui affidare il ruolo di leader in Italia”. “Noi socialisti in questi giorni onoriamo la memoria di Matteotti, assassinato dai fascisti e quella di Battisti. Nel loro nome – ha concluso Nicola Zoller della direzione nazionale Psi – ripetiamo che il socialismo è un’idea che non muore mai, come la libertà”.
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