Dietro lo stupore di una scelta di vita controcorrente

Ogni vocazione è amore per la vita, è intuizione di grazia, risposta e scelta che da gioia. Ogni vocazione nasce dal cuore e manifesta un cuore generoso e accogliente. Tutto questo caratterizza con forza ed identità particolare la chiamata al servizio presbiterale nella comunità cristiana.

Esso testimonia generosità perché non è ricerca dell’interesse proprio, ma piuttosto del bene spirituale di altri. Manifesta accoglienza in quanto non discrimina, non costruisce muri e non facendosi intimorire da ciò che divide preferisce costruire ponti, intrecciare dialogo, valorizzare quanto accomuna. Questa vocazione viene da una esperienza di conoscenza personale, intima, del Signore Gesù e della sua Parola. Solo così il prete può essere  nella comunità cristiana guida che accompagna all’incontro con il Signore nell’Eucarestia, nella proclamazione del Vangelo, nel dono di grazia dei sacramenti.

E’ con gioia e stupore che la Chiesa di Trento guarda a Massimiliano, Daniel, fra Francesco che sabato riceveranno l’ordinazione presbiterale. Gioia in quanto non c’è comunità cristiana senza Eucarestia. Tre nuovi preti sono speranza di futuro, di continuità nella tradizione di fede, testimonianza che le nostre comunità cristiane non sono  spiritualmente inaridite, ma hanno vitalità, sono ancora capaci di sostenere il dono di se al servizio della chiesa. Però c’è anche lo stupore di chi rimane sorpreso da una scelta di vita oggi decisamente controcorrente.

Uno stupore nel quale si coglie il profondo cambiamento che ha trasformato il volto della religiosità trentina.  Cinquanta anni fa gli ordinati furono 23, l’ultima “ordinazione di massa”. Poi è iniziata la transizione verso un altro modo di comprendere e vivere la religiosità. Da un cattolicesimo che si impastava e teneva insieme la vita sociale  ad un credere più legato alla convinzione e alla scelta personale. Dalla convinzione evidente e accettata che non fosse possibile accedere a Dio se non attraverso la mediazione sacramentale della Chiesa, si giunge a considerare superflua  la realtà ecclesiale perché a Dio si giunge direttamente. Ed allora che bisogno c’è del prete?   Certo la crisi delle vocazioni ha anche radici che affondano nel calo demografico e quindi nella minore disponibilità delle famiglie ad incoraggiare il figlio che pensi alla scelta del sacerdozio. Analogamente  l’affievolirsi del senso di appartenenza ecclesiale toglie entusiasmo e indebolisce la convinzione  ad accogliere una proposta di vita come quella del prete che è dedizione totale per un servizio alla Chiesa.  

Ragioni diverse che concorrono a ridurre il numero dei preti e di fatto rendono impossibile il mantenimento dell’attuale geografia nella presenza ecclesiale. Già negli anni scorsi si è ridisegnata la mappa delle parrocchie con l’istituzione delle unità pastorali. Il passaggio successivo sarà inevitabilmente quello di ridefinire il ruolo del parroco alleggerendolo, anche giuridicamente, di compiti organizzativi e amministrativi. Da questo punto di vista si tratta di giungere ad una visione più ampia della vocazione  nella quale anche il laicato abbia un suo specifico riconoscimento.

Tuttavia i cambiamenti  procedono con le gambe delle persone che in essi si impegnano per realizzarli, e allora sorge spontanea la domanda: ma dove trovare le risorse disponibili? 

Penso che nell’attuale situazione ecclesiale  vi siano due ambiti con potenzialità ancora poco valorizzate: il diaconato e quei laici che negli ultimi decenni hanno acquisito una qualificata formazione teologica presso i locali Istituti di Scienze Religiose. Tante funzioni che finora concorrono a delineare l’identità del prete andranno ripensate individuando ciò che è inseparabile dalla realtà sacramentale del presbitero e quanto invece si può tranquillamente affidare ai diaconi ed ai laici.

Giovanni Dalpiaz osb cam

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina