"Esiste una strategia nazionale riguardante le aree interne del Paese finalizzata a consentire agli abitanti di continuare a vivere lì senza essere costretti ad andarsene e ad essa sta lavorando da tre anni un gruppo composto da 30 funzionari appartenenti a cinque diversi ministeri". Fabrizio Barca, dirigente generale al Ministero dell'Economia e delle Finanze, l’ha ribadito più volte nel corso dell'incontro svoltosi sabato 4 giugno a palazzo Geremia nell'ambito dei "Dialoghi" del Festival dell'Economia.
Recuperare allo sviluppo le aree interne può essere importante quanto investire negli agglomerati urbani? È partito da questa domanda il confronto moderato dal giornalista de Il Fatto Quotidiano Antonello Caporale sul tema "Crescere senza fuggire" tra Fabrizio Barca e Luigi Guiso, Axa Professor of Household Finance all'Einaudi Institute for Economics and Finance (EIEF) di Roma, focalizzando l'attenzione sull'"esperienza di una politica attenta ai luoghi".
"Abbiamo individuato 65 aree interne, ognuna con 30.000 abitanti, dalla val Chiavenna al Tesino, dall'Aspromonte alle Madonie, che rappresentano il 17% del territorio nazionale – ha spiegato Barca -, e siamo partiti con 20 operazioni. Si tratta di un modus operandi non tipico per il sistema italiano, che in 6-7 anni mira a mettere in campo sperimentazioni controllabili e misurabili, puntando sul creare basi solide per favorire coesione e accordo con le amministrazioni locali". L'efficacia degli interventi dipenderà, infatti, dalla capacità di fare squadra e per Barca la parola-chiave è "conoscenza".
"Già oggi questi luoghi sono pieni di potenzialità – ha proseguito l'economista -: occorre però scovare energie locali. Per questo siamo andati a conoscere i custodi di queste realtà e le opportunità che offrono. Abbiamo chiesto ai sindaci di allearsi e di costruire modalità deliberative di confronto e se è vero che bisogna massimizzare la crescita, occorre anche garantire agli abitanti la libertà di scegliere dove vivere migliorando i servizi – sanità, scuola, trasporti – e rimuovendo gli ostacoli che impediscono alla creatività dei giovani nati in quei territori di esprimersi".
La politica dunque deve tener conto del valore e dei vantaggi delle "aree rarefatte", a rischio di spopolamento, ossia l'adattabilità ai cambiamenti ambientali, la maggior capacità di accogliere i flussi migratori, l'offerta di biodiversità più elevate rispetto al resto d'Europa a cui si collega l'appeal per il turismo internazionale.
Ma se ci sono così tante opportunità, perché non decollano da sole? "Questi territori finiscono nella trappola del sottosviluppo perché è interesse delle classi politiche dirigenti non puntare sul rinnovamento, privilegiando invece gli interessi economici delle multinazionali, ma le politiche che spingono verso le città sono perdenti".
Guiso ha ricordato che, se per la strategia nazionale di cui Barca è portavoce c'è un potenziale di crescita in ogni punto geografico del Paese e queste aree offrono spazi di libertà dove creare, i costi sono eterogenei e non si può ignorare la diversità tra Nord e Sud: "La bontà del tipo di intervento dipende dal contesto socio-culturale in cui si applica, alcuni ostacoli sono connaturati per questo occorrono strategie a lungo termine, tuttavia credo in politiche di conservazione rispetto a risorse che potrebbero scomparire ma vanno preservate perché una certa area può riconquistare appeal economico in futuro pur essendone priva oggi".
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