“Comunicazione e Misericordia si incontreranno?”. Un interrogativo, legato alla recente Giornata delle comunicazioni sociali (8 maggio, 50ª edizione) e al Giubileo straordinario, che ha fatto da filo conduttore all'incontro tra gli operatori della comunicazione trentina e mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano.
All'appuntamento, proposto sabato 21 maggio al Polo culturale Vigilianum dall’Ufficio diocesano Comunicazioni Sociali, in collaborazione con l’UCSI del Trentino Alto Adige, erano presenti anche l’arcivescovo Lauro Tisi e l’arcivescovo emerito Luigi Bressan.
“Vi ringrazio per tanti contributi che date e anche per le provocazioni”, ha detto mons. Tisi ai giornalisti. “Fa parte del vostro compito anche provocare, stimolare, inquietare, è nel vostro DNA essere la parte critica della realtà sociale, anche nei confronti della Chiesa. Vi chiedo di farvi carico di quest'ora della storia e di mandare in giro sempre la realtà con tutte le sue sfaccettature e non le emozioni, le reazioni di pancia che a volte servono più a cercare lo scoop, a vendere un prodotto e non rendono giustizia alla realtà”. Il giornalista oggi, ha proseguito l'arcivescovo di Trento, “dovrebbe essere in grado di liberare la parte positiva della realtà fatta di gratuità, fatta di volti, di persone che non appartengono a se stesse che fanno si che il mondo, pur in mezzo a tanti travagli, continui ad andare avanti. Buon cammino – ha concluso – siate misericordia, siate speranza, prendetevi carico di questa realtà, guardatela con speranza riconoscendo che c'è una parte sana che continua ad alimentare la vita e a generare futuro per il mondo”.
Nel ringraziare mons. Bregantini “per la sensibilità particolare che sa dimostrare nei confronti dei media, della comunicazione”, il presidente dell'UCSI, Giustino Basso ha ricordato come per la categoria “sia giunto il momento fronte comune per poter affrontare questo delicatissimo momento di trasformazione nel mondo della comunicazione”.
Di seguito proponiamo i passaggi più importanti della riflessione di mons. Bregantini, tratti dal messaggio del Papa: un “comunicare” che, dice Bregantini, non riguarda solo il mondo giornalistico ma anche la famiglia, la Chiesa, la scuola.
AMARE È COMUNICARE, COMUNICARE È AMARE
È molto bello questo tema con cui parte il Papa, perché dà al comunicare il valore di un messaggio d’amore. Se amare è comunicare vuol dire che non devi escludere nessuno, creando ponti e non muri, dove senti che la “parola” è il primo ponte. È la capacità di dare calore: “Come era ardente la sua Parola”, dicono dopo che Gesù che ha parlato a Emmaus, con il calore di chi voleva darti un pezzo di cuore: la cordialità nella comunicazione è la cosa più preziosa, che diventa poi la capacità di risanare situazioni antiche. Gli aggettivi sono come i fiori del campo: un campo senza fiori non ha valore, i fiori sono il calore del campo, danno calore alla comunicazione. I verbi danno la sostanza, ma sono gli aggettivi che danno l’aspetto relazionale di un dialogo tra persone.
POLITICA E DIPLOMAZIA
La diplomazia e la politica devono curare molto l'arte di saper dire. Il Papa dice quanto è importante per un giornalista formare l'opinione pubblica, senza mai però sfruttare le fragilità o le debolezze del nemico: spesso gli atteggiamenti della folla nascono dal modo in cui vengono presentati i fatti.
La storia insegna come anche chi sbaglia va trattato come una persona che non va punita ma va redenta. Ho fatto il cappellano per tanti anni in un carcere in Calabria e so cosa vuol dire per loro essere in un articolo chiamati in un modo o nell'altro, pur avendo sbagliato. Anche un articolo di cronaca nera va ben misurato: non devi solo pensare a chi ti legge, ma anche a chi ha compiuto il delitto. Misericordia vuol dire lasciar sempre aperta una porta nell'esperienza della vita, anche di chi ha sbagliato, orientando poi i passi di un popolo di una comunità, di una etnia, verso la riconciliazione.
Il Papa ci ricorda, inoltre, che tempo è superiore allo spazio. Non basta occupare uno spazio, troppo comodo, bisogna creare processi di riconciliazione e di pace che guardano al domani. Un giornalista vero deve pensare a piantare l'albero non a tagliare rami, a porre cioè processi parole e iniziative che guardano al domani.
VERITÀ E LIBERTÀ
Che rapporto c'è, che dialogo c'è tra libertà o verità? Qual è il fine, qual è il mezzo? Davanti a questa domanda perenne il mondo si divide. Noi credenti in Cristo mettiamo la verità sopra e la libertà sotto (“La verità vi farà liberi”, 8,32 Giovanni). Se io pongo la verità come fine e la libertà come mezzo allora diventa possibile raccordare tantissime realtà anche nel mondo della comunicazione: ma mai distinguendo e separando verità e libertà, che devono essere insieme, in armonia.
Un vascello per andare avanti ha bisogno delle vele spinte dal vento, gonfie di vita, di speranza, di coraggio e di ideali: è la libertà, la voglia di un giornalista di mettere la chiarezza nel problema. Però poi il vascello, accanto alle vele gonfie di libertà, ha bisogno del timone, realtà piccolissima ma che orienta: la libertà mi spinge, la verità che mi conduce al porto esatto. Ecco che ogni articolo, ogni realtà comunicativa, va congiuntamente armonizzata tra verità e libertà. Il Papa dice, dire la verità con amore: occorrono chiarezza e mitezza insieme, anche quando si scrive un articolo, sapendo però che la verità è l'obiettivo e che la libertà è un mezzo. Devo giudicare i fatti ma non le persone: non è facile.
IL VALORE DELL'ASCOLTO
Il Papa dedica alcune righe preziosissime all'ascolto dicendo che qualche volta non vorremmo essere sordi, perché dare ascolto significa perdere tempo. Ma cosa significa per un giornalista saper ascoltare? Essere sempre ben informati, studiando i fatti, documentandoti su quello che dici. L'articolo va preparato, studiato, bisogna avere un bell'archivio, non basta Facebook, bisogna andare a fondo alle cose. Sarebbe bellissimo poter dire, come Luca, “io c'ero”.
Beato chi fa il diario: il diario aiuta tantissimo, ti fa sentire te in ascolto del tuo cuore, e tramite il tuo cuore tu ascolti gli altri. Il diario purifica, fa da filtro, fa da dinamica relazionale con quello che tu vivi partendo dal tuo cuore. Chi fa un diario, diceva Susanna Tamaro, fa un buon tema, ai preti dico fa una buona omelia. A voi dico, fa un buon articolo. Perché il diario affina, aggettivi, storie, relazioni, passando dal tuo cuore, passando dall'ascolto del tuo cuore, passando da quello che tu vivi, passando dalle cose che hai sofferto.
Cadono i pregiudizi, le ideologie, gli schemi per cui lui deve essere quello che tu pensi. No, lui è quello che è, non quello che hai pensato che sia. Nascono gli inediti, il vitale, la sorpresa dell'altro. Quanti al termine di un intervista dicono: “Me lo aspettavo diverso”. Occhio nell'occhio, cuore a cuore, imparando – dice il Papa – quello che noi viviamo in famiglia. La famiglia è la scuola della comunicazione, perché è la scuola della misericordia. Nella famiglia la mamma impara e il figlio impara, e insieme si impara.
PROSSIMITÀ COME OBIETTIVO FINALE
È bello questo sostantivo, questo stile di dire. Vuol dire che io ti sto accanto e sento che tu hai bisogno di speranza: prossimità è dare ascolto creando empatia in ciò che fai, in ciò che dici. La prossimità la cosa più grande: mi piace definire il potere della comunicazione nella prossimità. L'incontro tra la comunicazione e la misericordia è fecondo nella misura in cui genera una prossimità che si prende cura, conforta, guarisce, accompagna e fa festa.
Quando in un articolo dici cose severe, dure, ma con mitezza, senza spaccare il cuore di chi ti legge, nel dire queste cose, crei prossimità, crei futuro. San Francesco di Sales usava la famosa frase latina, ripresa poi da Newman: “Cor at cor loquitur”, entra nel cuore solo ciò che esce dal cuore: ecco il diario, ecco la tua riflessione, ecco la preghiera, ecco l'empatia interiore, il ponte.
Il messaggio del Papa punta più sugli avverbi, che sui verbi. Gli avverbi danno il tono della misericordia e dalla prossimità: auguro a me e a voi la capacità di essere così, di saper puntare su questi avverbi, su questo “cor at cor loquitur”.
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