Da qualche anno all'Istituto “Pertini” di Trento è maturato un progetto favorire l'inclusione degli studenti in difficoltà. Sull'esperienza di “Classe Aperta” il punto di vista dei protagonisti e degli esperti
Non si tratta di garantire a tutti le stesse possibilità, ma di riuscire “a dare di più a chi ha meno”: la lezione di don Lorenzo Milani conserva tutta la sua attualità ai tempi della “Buona Scuola” renziana, dove rimane da combattere – soprattutto nelle regioni del Sud Italia – il fenomeno della dispersione scolastica. Come dimostrano gli ultimi dati disponibili (vedi articolo in questa pagina), ancora troppi studenti escono di strada lungo il cammino scolastico, senza rientrarvi più.
Fra i docenti “stile don Milani” (e non sono pochi) che considerano una sconfitta l'abbandono scolastico c'è chi ha provato a sviluppare un progetto pluriennale, attuandolo – d'intesa con alcuni colleghi e la dirigenza – dentro la Formazione Professionale, un ambito pure segnato dalla dispersione.
È il prof. Andrea Carlo Bortolotti che all'Istituto di Formazione Professionale “Sandro Pertini” (a Trento, in via Chini, nel caseggiato ex Sacro Cuore) qualche anno fa ha lanciato il “Progetto Campus”, un'azione di sistema estesa ad altri 11 CFP trentini e coordinata prima dal famoso “maestro di strada” Marco Rossi Doria e poi dallo psicologo Pietropolli Charmet. “Anche nel nostro Trentino – premette Bortolotti, ora vicedirigente – si sono sacche di giovani esposte al rischio di esclusione sociale, culturale ed economica. Per questo è importante condividere anche fuori dalla scuola i tentativi compiuti e le buone pratiche perchè non potrà esserci inclusione reale se non viene condivisa con le istituzioni e la cittadinanza”.
Talvolta mettono la maschera dei timidi, finiscono per essere “invisibili” dentro la scuola, assommano assenze rimanendo come un nome dimenticato sul registro. Altre volte assumono la maschera aggressiva di chi non riesce a stare dentro i tempi e le richieste della scuola. E allora che fare? “L'inclusione non è una parola astratta, ma porta con sé vicende personali e sociali, odori, rancori, spinte verso l'altro e improvvise ricadute – spiega Bortolotti, per cui “includere dentro la scuola i ragazzi più fragili comporta avere la forza e la disponibilità di tutti per metabolizzare la mareggiata che portano con sé ogni mattina”.
E veniamo allora al progetto “Classe Aperta” che è stato varato nel giugno 2012 dal Collegio docenti del Pertini, è ancora in corso ed ha ottenuto buoni risultati: è rimasta a scuola fino ai 16 anni (e anche oltre) una parte molto significativa di ragazzi destinati altrimenti alla dispersione. Un gruppo di lavoro formato ad hoc ha coinvolto altri docenti, ha sensibilizzato le famiglie e i Consigli di classe, ha reperito risorse aggiuntive dal Fondo Sociale Europeo. “All'inizio da parte dei docenti e dei ragazzi cìè stato un atteggiamento di rifiuto – ha spiegato una delle docenti della Classe Aperta, Carla Grigolli – ma col tempo una programmazione serrata e molta disponibilità, lasciando ai ragazzi i loro tempi, è stato possibile gettare le basi per riattivare la fiducia e quindi avviarsi verso l'apprendimento”. Conferma Paola Venuti, supervisore scientifico del progetto: “La base per partire quando si lavora con i ragazzi a rischio di abbandono è l'approccio basato sulla relazione con gli studenti e sul loro attivismo”. Fra gli strumenti concreti una diversa gestione dello spazio fisico (aula, banchi, armadietti), un ricorso all'approccio visivo (con utilizzo Lim e proiettore), la preparazione in aula di molte attività laboratoriali all'aperto. “Mi ha colpito l'esempio di un'uscita sul territorio per motivare la scoperta del sapere storico – ha osservato nell'incontro la dott.ssa Veronica Patton – a conferma dell'attivismo pedagogico che porta ad attivare in vario modo l'interesse per la conoscenza. È importante saper attendere il momento in cui lo studente è pronto e motivato all'apprendimento”.
Anche il dirigente del “Pertini”, Andrea Schelfi, ha tratto dalle esperienze di “Classe Aperta” (un gruppo ristretto di alunni, in media una decina per sezione) un bilancio anche socialmente positivo: “Anche da un punto di vista economico – ha detto – contrastare efficacemente l'abbandono è saggio perchè altrimenti diventano significativi i costi sociali di chi non ha istruzione ed è esposto a stili di vita a rischio”.
Sulla validità della sperimentazione le parole più convincenti sono venuti dall'emozionata Shaba Suada: “Senza la Classe Aperta non avrei mai finito la scuola. Grazie ai prof e al progetto ho imparato a stare bene con gli altri e ho visto che anche studiare può essere piacevole. Ora mi sento più forte”. Quest'altro modo di stare a scuola ha coinvolto anche Alida, Erica, Federica… e gli altri studenti molti dei quali ritornano con le loro storie e le loro scoperte nel libro di documentazione dal titolo “Clap!” che il prof. Bortolotti ha pubblicato con Edizioni Creative. In copertina due scarponi slacciati e logori dicono forse la fatica dei docenti (ma anche dei ragazzi e delle loro famiglie), ma il progetto ha la forza della concretezza: non sarà l'unica risposta all'abbandono scolastico, ma alcuni ragazzi hanno così ritrovato la strada verso la loro aula. E per un modello trentino che voglia ancora sviluppare la vera autonomia scolastica questo progetto merita ulteriore attenzione.
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