Le fonti antiche testimoniano il ruolo importante che le donne hanno avuto da subito nella Chiesa, ma non ci riportano una prassi univoca e universale che immetta in un percorso certo
La riflessione aperta dal Papa è fedele alla Scrittura e alla Tradizione da una parte, alle sfide del mondo di oggi dall’altra. Il fine rimane l’annuncio della Buona Notizia
COSÌ FRANCESCO ALLE SUPERIORE
La questione del diaconato alle donne è una delle molte e delicate questioni che hanno visto Papa Francesco impegnato a rispondere alle domande rivoltegli dall’Unione delle Superiore maggiori (Uisg), durante l’incontro in Vaticano dello scorso giovedì 12 maggio. Nel lungo dialogo a braccio il Papa ha avuto parole incoraggianti in vista di un migliore inserimento delle donne nella vita della Chiesa; Francesco si è detto d’accordo su “un aumento delle responsabilità a vari livelli da parte di personalità femminili” nei processi decisionali della Chiesa (quando non sia implicata l'ordinazione sacerdotale): “il modo di vedere un problema, di vedere qualsiasi cosa, in una donna è diverso rispetto a quello che è per l'uomo”.
Alla domanda delle consacrate sulla questione dell’apertura alle donne del diaconato permanente, con riferimento alla Chiesa primitiva, Francesco ha risposto ricordando la presenza delle diaconesse nell'antichità, anche se il loro ruolo “non risulta tuttora molto chiaro” e si è detto disponibile a interessare della questione una commissione ufficiale di studio: “credo che farà bene alla Chiesa – ha concluso – chiarire questo punto”.
Su questo tema abbiamo chiesto un contributo a suor Chiara Curzel, docente di Patrologia presso lo Studio Teologico di Trento e di Letteratura Cristiana Antica presso il Corso Superiore di Scienze Religiose di Trento.
La risposta del Papa all’Unione Internazionale delle Superiore Generali, nella quale il Pontefice esprime il suo desiderio di istituire una commissione di studio sul diaconato femminile, ha fatto presto il giro del mondo, tra fraintendimenti e necessarie precisazioni. A dir la verità, sono stati molti i temi interessanti toccati in quel dialogo, ma, come spesso accade, questa sola battuta è bastata a far passare in secondo piano i tanti aspetti che meriterebbero attenzione e aprono scenari nuovi sulla partecipazione femminile – e nello specifico delle consacrate – nella Chiesa al tempo di papa Francesco.
Ma restiamo nel campo delle diaconesse, per approfondire nello specifico le testimonianze dei primi secoli cristiani a cui si è fatto riferimento. Non sono molte le fonti, ma sono certe: nella Chiesa antica le diaconesse c’erano. C’erano già ai tempi apostolici, come ci testimonia Paolo raccomandando di aver cura della “diaconessa Febe” (Rom 16,1), anche se non è facile definire i contorni del loro ruolo. Dalle lettere paoline e dagli Atti degli Apostoli emergono essere molte le donne che collaborano alla missione (pensiamo a Priscilla, Lidia, e molte altre citate per nome da Paolo), impegnate soprattutto nell’ambito caritativo, ma anche nella preghiera, nella vita ascetica e investite del carisma profetico, anche se escluse dall’insegnamento autorevole nell’assemblea liturgica.
Anche una fonte pagana come Plinio il Giovane testimonia all’inizio del II secolo l’esistenza tra i cristiani di alcune ministrae, termine che potrebbe indicare nella sua versione latina un ruolo importante ed istituito, mentre alla Chiesa di Siria del III secolo appartiene la Didascalia degli Apostoli, che per la prima volta definisce in maniera chiara le funzioni delle diaconesse. Esse sono collaboratrici del vescovo, scelte da lui tra il popolo per aiutarlo nel suo compito pastorale; assistono le donne in particolare al momento del battesimo (ungendole quando discendono nell’acqua e accogliendole e rivestendole quando escono) e si occupano della cura delle donne malate (per visitarle, assisterle, lavarle). A ciò si aggiunge anche l’accompagnamento delle fedeli nell’istruzione ed educazione alla vita cristiana, mentre alle diaconesse è comunque vietato insegnare e battezzare (cf. Didascalia 2,26,4-6).
Le diaconesse sono poi citate da varie fonti canoniche del IV-VI secolo, tra cui spiccano per importanza le Costituzioni apostoliche. Delle diaconesse si dice che devono essere vergini o vedove sposate una sola volta e vengono esplicitate le loro funzioni: occuparsi della cura delle donne, assisterle nel battesimo, accoglierle in assemblea, aiutare vescovi e presbiteri nella distribuzione delle eulogie (i pani benedetti). Secondo questo testo le diaconesse ricevono una vera e propria ordinazione con l’imposizione delle mani e la preghiera del vescovo(VIII, 20,1-2). Non c’è quindi differenza di valore tra diacono e diaconessa, anche se poi le funzioni della diaconessa sono ancora notevolmente ridotte e soprattutto è esclusa dal servizio all’altare: non distribuisce la comunione, non fa l’oblazione, non benedice, non battezza. Il canone 15 di Calcedonia, a cui accenna anche papa Francesco nella risposta in questione, afferma che la diaconessa riceve un’ordinazione con l’imposizione delle mani, ma solo dopo i 40 anni ed è legata dal voto di castità.
I documenti canonici ricevono conferma dai dati storici, che hanno conservato il ricordo di un certo numero di donne diacono. La testimonianza più nota è quella di Olimpia (o Olimpiade), diaconessa a Costantinopoli al tempo di Giovanni Crisostomo, di cui fu collaboratrice e corrispondente. Le diaconesse avranno poi un ruolo importante nella costituzione e guida delle comunità femminili (nella Vita di Macrina Gregorio di Nissa ci parla della diaconessa Lampadio, che svolge importanti ruoli nella comunità monastica di Macrina), ruolo che verrà ereditato dalle abbadesse. Tale ministero sopravviverà fino al IX secolo, ma solo in Oriente; l’Occidente non ha mai conosciuto, almeno da quel che sappiamo dalle fonti, l’istituzionalizzazione del ministero diaconale femminile.
Possiamo dunque affermare che le donne hanno avuto da subito un ruolo importante all’interno della chiesa nascente: trovano spazio nella diffusione del Vangelo, nella profezia, nella preghiera, nel servizio. In alcuni contesti (il cristianesimo antico è fatto da comunità con riti, usanze, organizzazioni anche molto diverse tra loro!) il loro ruolo viene progressivamente istituzionalizzato, fino ad arrivare a una vera e propria imposizione delle mani e preghiera consacratoria che le rende parte del “clero”, collaboratrici del vescovo accanto ai diaconi. Non c’è mai però un accenno a funzioni sacerdotali da parte delle donne, se non in forma di condanna di fronte a qualche esagerazione eretica, e il loro ambito di servizio è quello dell’assistenza alla parte femminile della comunità cristiana in tutti quei momenti in cui una presenza maschile non sarebbe stata conveniente.
I dati che ci vengono dalle fonti antiche, qui necessariamente semplificati e riassunti, sono troppi e troppo espliciti per essere ignorati, ma nello stesso tempo non ci testimoniano una prassi univoca e universale che immetta in un percorso certo. Lo studio e l’approfondimento delle fonti, attraverso una ricerca il più possibile oggettiva e onesta, è il primo elemento indispensabile di fronte a un tema, come il nostro in questione, che necessita di fondazione ed elaborazione teologica. La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, una corrente di intelligenza e di pensiero che conserva la propria unità e con l’assistenza dello Spirito Santo ci tiene uniti alla parola del Signore che si fa viva nel tempo che scorre. Il fatto dunque che la presenza delle donne diacono sia ben testimoniata è un fattore importante, che ci autorizza a riprendere e ripensare la possibilità di un tale ruolo. Senza tale fondamento tale ipotesi sarebbe difficilmente sostenibile, ma sarebbe nello stesso tempo riduttivo pensare di ricorrere alla tradizione intendendola come semplice ripetizione di prassi già avvenute, senza possibilità di sviluppo, senza quel criterio fondamentale che fin dalle origini è costituito dalla “novità” del contesto che l’annuncio cristiano incontra e che permette una sempre miglior comprensione del messaggio originario.
L’odierna riflessione (ri)aperta dalle parole del Papa si colloca dunque all’interno di una duplice fedeltà: alla Scrittura e alla Tradizione da una parte, alle sfide del mondo di oggi dall’altra. Il fine rimane l’annuncio della Buona Notizia, il desiderio che la gioia del Vangelo raggiunga ogni uomo e ogni donna dando luce al loro cammino, promuovendo stili e forme di vita coerenti al messaggio d’amore del Cristo. Il mezzo non può che essere un coinvolgimento di ogni uomo e ogni donna in questa missione, con la medesima passione e la reale collaborazione che la sollecitudine pastorale richiede. Il ministero del diaconato alle donne, che trova le sue radici nella tradizione della Chiesa, ma richiede nuovi ripensamenti e attualizzazioni, potrà essere una strada? Forse sì, se non diventerà bandiera ideologica, né risarcimento o rivendicazione, ma reale riconoscimento di una funzione possibile (in molti casi già presente) di molte donne che si mettono realmente, con passione e competenza, a servizio dell’annuncio evangelico.
suor Chiara Curzel
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