Misericordia dentro la rivoluzione digitale. La invoca Papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali (domenica 8 maggio, 50ª edizione, vedi pagine 14 e 15), in cui invita a tradurre la missione dell'anno giubilare nell'oggi segnato dalla crescita esponenziale d'opportunità di comunicare. Sembrerà persino banale, ma forse non nuoce ricordarci a vicenda che la quantità quasi sovrumana di informazioni e relazioni ormai concentrate nel palmo di una mano è legata ad un mero codice digitale binario. Digitale non perché stiamo a fare uso di dita che si accavallano nervosamente su uno schermo. Ma digitale dal primo signficato dell'inglese digit: numero. Binario, ovvero fatto di due soli numeri: 0 e 1. Tutto il sistema digitale si regge sull'infinita combinazione di questi due segni di alternanza tra accensione e spegnimento, quasi un gigantesco interruttore che illumina od oscura le nostre giornate. On oppure off. Nero o bianco. Vedo, non vedo. Tutto o nulla. Sarà pur vero che la progressiva riduzione al formato digitale consente grande immediatezza nel trasferimento dei dati e quindi ampia possibilità di condividerli. Ma essa non contempla le sfumature, il grigio, la visione nebulosa, sfocata. O sei connesso o non sei. Non ti è dato di esserlo solo in parte, non esistono livelli intermedi, niente imperfezioni, al bando i distinguo.
Pur con queste premesse tecnico-filosofiche, si rischia di essere politicamente scorretti nel non seguire la linea della maggior parte della cultura mediatica, secondo cui è ormai errato definire la comunicazione digitale un contesto “virtuale”, e quindi in sé impoverito, rispetto alla ricchezza di quello “reale”. Il digitale, incalzano, non è affatto un mondo fittizio, disincarnato. Semmai è concesso solamente distinguere tra comunicazione “digitale” e “fisica”.
D'accordo. Ma al di là del dilemma onestamente capzioso, è innegabile il prevalere nella comunicazione di una funzione definita dai sociologi “fàtica”, destinata cioè a stabilire e mantenere un contatto, ma non a trasferire contenuti e condividere vissuti. Diversamente non si spiegherebbe la facilità con cui soprattutto gli adolescenti si “espongono” attraverso i social, ma non fanno altrettanto quando si tratta di metterci la faccia, dando un volto ai propri sentimenti. Non a caso Francesco si è appellato a loro (e indirettamente agli adulti-genitori) rammentando che la felicità non si scarica da internet come un'applicazione sullo smartphone.
“Testimoni digitali” titolava un importante convegno ecclesiale nel 2010. Aveva un obiettivo: ribadire la necessità anche per la Chiesa di abitare l'universo dei new media, alimentati dalla grande rete, raccogliendo la sfida di portarvi il proprio valore aggiunto, la bellezza della Parola evangelica. E' prematuro dare un voto a quel proposito. Forse però oggi viene chiesto (a tutti, senza distinzione di età) di stare sì nell'universo digitale, ma con le virtù dei testimoni analogici. Coloro cioé che manifestano nostalgia di volti e sguardi autentici rispetto al fantasma di un'emoticon, di linguaggio simbolico al posto della comunicazione astratta, di emozioni dirette, non filtrate. Testimoni, in quest'universo bombardato di bytes, della capacità di praticare un'antica virtù: distinguere, in ultima analisi, la realtà dalla sua rappresentazione, talora espressiva ma spesso fuorviante. Nazareno Taddei, gesuita amico del Trentino, pioniere della lettura della comunicazione attraverso le immagini, soprattutto quelle in movimento del cinema, soleva ripetere: ”L'immagine di una seggiola non è mai una seggiola”. E a chi lo osservava perplesso, mostrava una sedia e la sua fotografia: "Provare per credere", aggiungeva, invitando l'interlocutore a sedersi sull'una o l'altra. Misericordia può voler dire, talvolta, indicare il posto giusto.
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