La testimonianza di Isoke Aikpitanyi, ragazza nigeriana che si è trovata in un incubo da cui è riuscita ad uscire. E che ora si batte per le altre vittime dello sfruttamento
Isoke Aikpitanyi viene dalla Nigeria. E’ arrivata in Italia nel 2000 convinta di trovare lavoro come commessa. Invece, si è trovata ad essere vittima della tratta, è stata costretta a prostituirsi, ma è riuscita ad uscirne. Nel 2003 ha fondato un’associazione e avviato un progetto di lotta alla tratta. E’ autrice di libri. Ha fatto della scrittura uno strumento di lotta e di liberazione.
Il suo approccio si basa sull’auto mutuo aiuto: ragazze nigeriane che aiutano altre ragazze nigeriane. Allo stesso tempo Claudio, il suo compagno, coinvolge clienti ed ex-clienti – partendo dalle fragilità di ognuno. Li incontriamo a Villa Sant’Ignazio. A invitarli, alcune associazioni – tra cui “L'Altra Strada”, che fa parte della Fondazione Villa S. Ignazio, Amnesty International e Atas -, per capire che cosa si può fare insieme nella lotta alla tratta.
In Trentino Isoke era già stata nel 2011 e nel 2013, per presentare i suoi libri. “Non volevo scrivere libri – ebbe a dire -, ma quel che mi è capitato in Europa è finito sui libri perché qualcuno la verità la deve pur raccontare”.
La vita in prigionia: qualcuno sapeva cosa ti stava succedendo?
“Era il 2000, non c'erano le possibilità di oggi. Nel mio villaggio già ricevere la posta era difficile. Nessuno dei miei cari sapeva”.
E le ragazze di adesso, che ci sono più strumenti?
“Strumenti tecnologici sì, ce ne sono, ma spesso ci sono pochi strumenti culturali. Riuscire a dire veramente cosa succede ai propri cari è molto difficile. Si parla di altro, di quello che succede in generale; ma del proprio vissuto, delle sofferenze, della violenza, è difficile parlare con i propri cari”.
In Nigeria si sensibilizza rispetto a quanto succede realmente?
“Adesso le ragazze arrivano in Italia a 14-15 anni: sanno quello che vogliono sapere, perché in quel momento pensano di avere davvero una prospettiva. Quello che vivranno realmente in Europa non lo sanno. Ultimamente sta accadendo qualcosa di nuovo, i genitori delle vittime chiedono al governo nigeriano cosa succede alle loro ragazze”.
Sei più tornata a casa?
“No, i miei genitori hanno paura. Avevo in programma di tornare, per andare a parlare nelle scuole. Il governo voleva distribuire il mio libro, “Le ragazze di Benin City”; poi però i paletti che hanno messo non mi hanno entusiasmata, ed il progetto è stato accantonato”. (Interviene Claudio: “Detto chiaramente, volevano censurarlo).
Hai dichiarato di esserti sentita respinta dai servizi sociali: cos'è successo?
“Se una ragazza non rientra nello standard è esclusa, io sono una delle tante. Quando mi sono rivolta al servizio, mi hanno chiesto delle cose che molte ragazze non riescono ad affrontare. Dopo due, tre tentativi ho dovuto cercare un altro percorso, che in quel momento non esisteva, così me lo sono dovuta inventare, perché dopo la terza volta mi hanno quasi uccisa”.
La differenza tra il tuo approccio e quello tradizionale?
Isoke: “L'uno non dovrebbe escludere l'altro, dovrebbero essere integrati in modo equo. A volte bisognerebbe fare un passo indietro per accogliere il metodo sperimentale dei cittadini, perché non esiste solo quello istituzionale”.
Claudio: “Molte riunioni funzionano così. La chiamano a parlare, poi arriva qualcuno che dice, rivolto agli altri interlocutori: “Avete visto che esiste la tratta? Avete visto che è difficile combatterla? Avete visto che la si può combattere? Adesso vi diciamo noi come”. E propongono il loro metodo istituzionale, che non c'entra niente con Isoke. Si dovrebbe fare sinergia, ma farlo alla pari”.
Isoke: “C'è questa distanza, questo muro. Perché l'istituzione prevede che per uscire dalla tratta devi denunciare i tuoi sfruttatori, e questo è molto, molto difficile”.
C’è un'iniziativa in particolare alla quale state lavorando?
Claudio: “Sulla falsariga di quello che fa l’associazione Libera nella lotta alle mafie, Isoke è partita con la raccolta dei nomi delle ragazze vittime della tratta che sono state uccise. L'iniziativa verrà presentata a Genova il 7 giugno prossimo”.
Isoke: “Vogliamo iniziare a considerare il problema della tratta come una delle violenze sulle donne, perché fino ad ora sono vittime, ma non si sa dove collocarle. Se vanno al centro anti violenza non va bene perché sono vittime di tratta; se vengono uccise non si sa se chiamarle vittime di femminicidio o no”.
Claudio: “Se le vittime della tratta sono 15.000, stando a quanto dicono alcuni – ed io so che l'anno scorso ne sono state uccise 10 – 10 su 15.000 è una cosa. La proporzione è terribile per le ragazze nigeriane, vuol dire che il fenomeno è molto vicino a loro”.
Isoke: “Io sono stata a più di 30 funerali in giro per l'Italia. È un tema terribile all'interno della comunità nigeriana, dove tutti ci conosciamo”.
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