Il cinema può suscitare stupore in senso positivo, ma dov’è il confine tra stupore e curiosità che rischia di diventare morbosità?
Malatesta: Esiste un limite oltre il quale si passa dal tentativo di suscitare stupore alla curiosità: Gibson ha lavorato sulla ridondanza con una precisa idea autoriale. Questa domanda la pongo agli ospiti del Religion Today Festival in relazione alla violenza, alla quale siamo ormai assuefatti. In tv e sul web possiamo accedere a documentari violenti, ma dovremmo trovare vie alternative per esprimere idee, denunce. Il cinema deve scuoterci: in che modo? È una domanda che resta aperta.
E tra stupore ed evasione?
Malatesta: Il cinema è industria e intrattenimento. Il fatto che un autore riesca a produrre qualcosa che genera stupore dipende dal Paese di provenienza, dalla politica della cultura, da vari fattori e bisogna tener conto anche degli ostacoli legati all’economia del cinema. D’altra parte, esistono energie nel mondo del documentario e devono essere valorizzate.
Petrosino: Abbiamo sempre bisogno di distinguere, ma perché preoccuparsi dei confini, del limite? Perché c’è questa pulsione a educare l’altro? Il bambino impara come si trattano le donne vedendo come il papà tratta la mamma. Facciamo vedere cose belle, smettiamola di dire “una volta”. Poi sì, c’è una differenza sostanziale tra stupore e fascino: lo stupore è sempre unito ad una domanda, il fascino no. Di fronte alle cose, ognuno reagisce in modo diverso, uno si meraviglia, un altro no, ma se scatta una domanda, la parola, allora è qualcosa di buono. La parola “senso” indica i sensi e poi la direzione: ciò che ci mette in moto è positivo.
In un bosco, davanti al muschio un bambino dice “è la barba dei nanetti”, l’altro “è lichene”.
Malatesta: Lo stupore è associato all’infanzia, alla capacità dei bambini di chiedersi “perché”. Dovremmo ritrovare la dimensione feconda dello stupore infantile.
Se pensiamo al terremoto in Ecuador, agli immigrati annegati, non c'è tempo per stupirsi, non possiamo contemplare le stelle.
Petrosino: Non c’è solo il male, la violenza. Una signora anziana mi ha visto scendere le scale di corsa e mi ha detto che era bello poterlo fare: ho rallentato pensando che aveva ragione perché arriverà un momento in cui non potrò più farlo. Il bene è infinitamente di più, ma va visto: il bene è la gentilezza dell’infermiera che mi ha rincuorato quando sono andato a fare le analisi, è il pranzo che mi ha preparato mia madre dedicandomi un tempo che non torna più. Il bene è infinito come l’amore, la carità e la misericordia, parole a cui dobbiamo togliere la maiuscola. Certo, c’è lo scandalo della morte, ma il nostro approccio alla vita sta nel modo in cui la guardiamo: diamo tutto per scontato, invece dovremmo essere contenti di riuscire a camminare o bere un bicchiere d’acqua.
Ne "Il paradiso perduto" di Milton di cui lei ha parlato, Lucifero rinuncia allo stupore dell'amore per mantenere la sua natura, incapace di rinunciare all'idea di sé per fare spazio all'altro. Dobbiamo rinunciare a qualcosa per arrivare a stupirci?
Petrosino: Non dobbiamo rinunciare a niente, lo stupore è un di più, non un di meno. Lo scienziato vero è pieno di stupore, e io mi stupisco ogni volta che penso a come nasce la vita, al movimento dello spermatozoo che sa dove andare senza che nessuno glielo abbia insegnato.
Decarli: Significativa la dimensione dello stupore emersa in “Plenilunio” come esperienza di qualcosa che ci distrae e al tempo stesso rivela la nostra incapacità di accogliere ciò che ci viene donato.
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