Con un documento votato a larga maggioranza il Consiglio decanale di Rovereto, “previo un confronto con l’Ufficio comunicazioni sociali e concordato con mons. Bressan e il neo eletto mons. Tisi”, è intervenuto il giorno prima della rappresentazione: “Di fronte all’annuncio giornalistico di questo spettacolo, che ha suscitato qui, come già in altre città, reazioni forti di condanna e di accusa di “blasfemia”, non avendo visto di persona tale rappresentazione, non pretendiamo di formulare a priori alcun tipo di nostro giudizio. Vi sono riserve, come poi spieghiamo, ma riconosciamo che solo chi assiste alla prevista versione teatrale potrà esprimere più fondate considerazioni. Da quanto ci è dato di sapere, il regista Romeo Castellucci è un autore del teatro italiano di avanguardia, riconosciuto a livello internazionale che, in questo caso, cerca di provocare una riflessione sul dramma del dolore umano e sull’impotenza degli uomini di fronte a questo dolore”. Dopo aver riportato alcune note di presentazione dello steso autore il testo prosegue: “Da fonti autorevoli in ambito ecclesiale apprendiamo che lo spettacolo è sicuramente crudo e per certi versi intollerabile, senz’altro non adatto a qualsiasi tipo di pubblico, e tuttavia non avrebbe intenzioni blasfeme: il significato profondo della rappresentazione teatrale consisterebbe, infatti, nello sguardo di Dio e di Gesù, l’unico che riesce a piegarsi sulle situazione più umilianti e degradanti della vita, le stesse che lo sguardo dell’uomo non riesce a reggere. Ciò premesso, non possiamo non esprimere perplessità e preoccupazione di fronte a tale rappresentazione che fin dal titolo chiama in causa il volto del Figlio di Dio. E non possiamo esimerci dal chiedere ragione di una proposta che rischia di essere così lacerante in tempi che non abbisognano di alcuna esca per esplodere: perché buttare lì senza alcuna preparazione una provocazione teatrale d’avanguardia che richiede un pubblico più che attrezzato culturalmente? Perché rischiare che il grido di dolore sull’umanità umiliata dalla vita, che il regista dice di aver pensato come una “preghiera”, venga preso in altrettanta buona fede come una profanazione e una bestemmia del volto che si ha più caro? A chi giova in tempi come questi, in cui l’essere umano, e il cristiano prima di ogni altro, viene umiliato, violentato, annientato appena al di là della nostra soglia, veicolare un messaggio che sembra privo di speranza? Perché poi farlo nel tempo di Pasqua, quando la Chiesa annuncia al mondo oppresso dalla violenza e dall’ingiustizia una salvezza che viene da un Dio che si è fatto carico fino in fondo della condizione umana più tragica?
Ci auguriamo – conclude il documento decanale -che le persone che andranno ad assistere allo spettacolo abbiano sufficiente maturità e spirito critico per assimilarne il messaggio che l’autore dice di voler trasmettere. Allo stesso tempo ci auguriamo anche che non si ceda troppo facilmente alla tentazione di una contestazione violenta o intollerante: in questi tempi non ce ne sarebbe davvero bisogno”.
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