La vicenda innescata dall’inchiesta dei PM di Potenza è per Renzi più pericolosa di quel che le dichiarazioni sue e del suo entourage lascino pensare. In un paese come il nostro dove non abbiamo mai veramente smaltito la sindrome di Tangentopoli e dove c’è sempre un grillo di turno a predicare che in fondo sono tutti ladri e corrotti vicende come quelle legate agli affari del petrolio in Basilicata sono la classica benzina sul fuoco.
Quale è l’obiettivo del polverone che si sta alzando? Far cadere Renzi? Nell’immediato sembra difficilmente raggiungibile, perché qualcosa da Tangentopoli si sarà pur imparata ed è che buttare all’aria un sistema senza avere nulla con cui sostituirlo è una pessima idea. Con il contesto internazionale con cui dobbiamo fare i conti e con una situazione economica non proprio brillante sarebbe meglio pensarci su due volte.
Paradossalmente però siccome al momento far cadere questo governo è impresa quasi impossibile, ci sono ampi margini per fare sceneggiate sul tema senza rischio di pagare poi il conto. Per le opposizioni il calcolo è evidente e in fondo scusabile. Sono messe talmente male che hanno bisogno di vincere facile da qualche parte e dunque avanti con gli appelli al qualunquismo nazionale. Il rischio è che ci guadagnino un po’ di più quelli che sono più spregiudicati, cioè la Lega e i Cinque Stelle, ma lo accettano tutti nella convinzione che alla fine qualche vantaggio ci sarà per comunque per ognuno.
Certo l’obiettivo più ambizioso è la conquista del comune di Roma da parte della candidata pentastellata e Grillo lo dà tanto per scontato da buttare lì che se la Raggi non vince si darà fuoco (tranquilli: siccome è sia un comico sia un politico poi non è tenuto a rispettare quel che dice). Comunque anche un po’ di smacchi per un PD che non affronta le amministrative proprio al massimo delle sue possibilità sono già sufficienti per rianimare un centrodestra in affanno e per rinverdire l’immagine del grillismo come unica alternativa del paese.
Assai meno comprensibile il comportamento della minoranza PD in direzione. La cattiveria e i toni brutali con cui ha attaccato Renzi non si sa dove vogliano andare a parare. Da un lato si può immaginare che si aspettassero un leader che correva a riappacificarsi con loro rendendosi conto delle acque turbolenti in cui si trovava. Non avendo avuto soddisfazione il disappunto li ha spinti a reagire violentemente. Dal lato opposto sono stati probabilmente vittime della sindrome del rimprovero che fa loro l’estrema sinistra, cioè di essere succubi di Renzi, per cui hanno voluto smentire preventivamente con la classica esibizione muscolare. Che vantaggi gli possa portare questa azione non si capisce: i vari Cuperlo, Speranza e compagnia hanno agito più da vecchie zitelle inacidite che da protagonisti della politica (e meno male che il loro argomento era negare che Renzi avesse la statura del leader…).
Si deve però dire che anche il comportamento del segretario-premier non è stato proprio al di sopra delle critiche. Ha argomentato certo con abilità, ha ribaltato le accuse che gli venivano fatte trasformandole in meriti e a sua volta facendo appello ad un certo populismo italico (la rivendicazione di saper fare anziché insabbiare, il richiamo alla giustizia come punizione dei colpevoli e non come gioco infinito di rituali bizantini che non concludono). Tuttavia ha, a nostro modesto avviso, ecceduto nel protagonismo, credendo troppo a quelli che teorizzano la supremazia della “democrazia del leader”. Dimentica infatti che un leader senza una cerchia di seguaci all’altezza del suo compito non va da nessuna parte: una volta si insegnava che il messia ha bisogno degli apostoli se vuole fondare la sua chiesa in maniera stabile.
Renzi punta molto sul referendum istituzionale, ma proprio quella è una battaglia in cui dovrà schierare qualcosa di più di una squadra di politici, inevitabilmente sospettabili di seguirlo perché legati a lui dalle rispettive carriere. Sinora non si sta vedendo molto in termini di preparazione di quella battaglia e ciò impensierisce non poco chi è consapevole della delicatezza di quel passaggio politico.
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