Tra il saluto al vescovo Luigi, nella mattinata del giovedì santo, e l’abbraccio al nuovo vescovo Lauro, nella domenica della misericordia, c’è di mezzo Pasqua. Piace leggere nella casualità del calendario una felice coincidenza. Pasqua è la festa in cui si celebra il nucleo centrale della fede cristiana, compimento delle promesse profetiche: Gesù è davvero il Messia, il Salvatore. Egli è risorto dalla morte, inflittagli tra dolori indicibili per il nostro peccato, e tuttavia non rimane ancorato a un sepolcro. Vive. Vive per sempre.
La missione di un vescovo potrebbe anche ridursi a questo: rinnovare di continuo, a se stesso e alla sua comunità, la grande verità di fede di cui non saremo mai del tutto consapevoli. Perché sta fuori dalle nostre categorie, così limitate alla prospettiva terrena, segnata dalla percezione costante della distanza tra un infinito a cui aneliamo e la frustrazione che segna in modo alterno le nostre giornate. Il vescovo che lascia è stato messaggero convinto del risorto anche semplicemente per il senso di speranza che l’ha sempre animato nel suo servizio. Quello che verrà dovrà porsi come obiettivo di rilanciare la fede nel mistero che celebra l’esistenza dell’aldilà, per dare significato all’aldiquà. Anche così si può connotare lo storico passaggio di testimone che mai prima d’ora ha visto un vescovo trentino ordinare un altro vescovo trentino come suo successore.
E’ chiaro: cambiano rapidamente gli scenari davanti agli occhi del pastore della Chiesa trentina. Dietro le porte di tante canoniche fino a non molti anni fa saliva l’odore di abiti sacerdotali misto a polenta, ora domina l’aroma del cous-cous o delle pietanze africane cucinate dai giovani profughi accolti in questi mesi. Una bella prova di solidarietà, di cui le comunità coinvolte devono andare fiere. Ma anche un inesorabile segno dei tempi. Tempi bui, per tanti aspetti. Le nostre aule liturgiche paiono, nella normalità domenicale, sproporzionate per dimensioni rispetto al grado di partecipazione alla vita comunitaria. I catechisti, fosse facile trovarne, così come ogni ufficio pastorale e perfino gli operatori dei media cattolici faticano inevitabilmente a trovare argomenti e linguaggi accattivanti senza svilire la propria identità giocando al ribasso.
Ma il mistero sta lì e continua a provocarci. Anche perché gli anni passano, inesorabili, per tutti. E lungo il cammino s’infittiscono le croci di chi ci stava accanto e ora s’è fermato. Anzi no, lapsus per difetto di fede: ci ha preceduti, come suggerisce la parabola pasquale.
Si fa però presto a dire. Ben più dura crederci quando un pullman fuori controllo ti restituisce il cadavere della tua “bambina”, o un kamikaze strappa dal tuo cuore una persona amata. Un papà cui è toccato sopravvivere al figlio, mi raccontava di recente tra le lacrime di averne sentito chiarissima la sua voce in sogno, ma di essersi scoperto impotente per non riuscire a vederlo. “Non puoi – è stata la risposta – perché sono troppo splendente e i tuoi occhi non sono in grado di reggere la vista di tanta luce”. Che meravigliosa attestazione teologica, nella Pasqua che celebra Gesù di Nazareth come la Luce! Dirompente, insostenibile all’occhio umano.
Cambia dunque il vescovo, non la sfida: aiutare a credere che c’è – per dirla con il titolo di un bel film – “il paradiso per davvero”. A dare senso anche alla vita che sembra averlo perso del tutto.
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