IsaSi sarà sbagliato, mi dico. Perché mai il direttore di questo settimanale dovrebbe chiedermi di dare “consigli” al nuovo vescovo? Non certo per il particolare curioso che quasi quarant’anni fa proprio Vita Trentina registrava i timidi esordi di un allora aspirante giornalista. Scrivevo di libri, lo faccio ancora. Ma non basta questa labile traccia, per quanto simbolica. Né può essere significativo – ora che sono fuori da qualsivoglia redazione, dove la lettura della stampa locale è dovere, prima che piacere – il fatto di essere un abbonato che trova sempre, in ogni numero, di che riflettere. No. Provare a dire qualcosa di minimamente sensato riguardo ad un passaggio certamente fondante in una comunità quale è (o dovrebbe essere…) quella cristiana, vuol dire interrogarsi – laicamente, in questo caso – sul nostro cammino, sugli incontri con le persone, sui gesti quotidiani, sul modo nel quale attraversiamo il tempo che ci è concesso.
Allora, mi son detto, provare – timidamente, in punta di piedi, con pudore per non dire altro – a rivolgersi al vescovo Lauro (che non ho mai incontrato, del quale sento dire un gran bene) vuol dire ripensare a dove l’esperienza comunitaria della mia intera generazione è iniziata: all’oratorio. Vuol dire chiedersi perché mezzo secolo dopo – e dopo tutto quel che è passato: il Concilio, il Sessantotto, il consumismo che consuma, la società liquida, la rivoluzione internettiana, le paure di ogni tipo, le nuove povertà, i migranti, l’intolleranza mai doma – all’orizzonte delle comunità di casa nostra molti giovani trovino ancora proprio negli oratori un luogo dove sperimentare forme di incontro non consumiste, non stordenti, non basate sull’avere ma sull’essere, non sull’apparire ma sull’accettarsi.
In un tempo nel quale l’aperitivizzazione giovanile sembra un dogma – sì, l’aver messo al centro della propria giornata, della propria quotidianità dei riti sui quali troppo poco si riflette, così come poco riconosciamo l’esistenza di troppe persone, moltissimi gli anziani, devastata dalle sirene di una vita gratta e vinci, comunque perdente -, servono voci e comportamenti altri. Possono venire certamente dagli oratori e dalle comunità cristiane, così come – mi si perdonerà l’irriverenza, necessaria – da esperienze di impegno e volontariato laico piuttosto che da quei luoghi sociali che fanno della coerenza, anche intransigente (Cristo scaccia i mercanti dal tempio, o no? e papa Francesco cerca di scacciarne tanti altri mercanti, da altri templi…) una linea di condotta.
Ecco, mi accorgo che al vescovo Lauro qualcosa ho già detto. Eppure, dovessi indicare un tema possibile, un argomento sul quale lavorare, sul quale puntare, non avrei dubbi. Il silenzio. Abbiamo bisogno soprattutto di silenzio. C’è troppo rumore di fondo. Anche quando è quello ovattato delle chat, degli sms, di whatsapp, dell’essere sempre piegati sulle tastiere di qualcosa. Troppi talk show, in tivù e per strada, negli uffici e in politica. Proporre e praticare momenti – anche lunghi se occorre – di silenzio. Sì. Un vescovo che indica gesti quotidiani a favore del silenzio. E’ troppo?
Carlo Martinelli
(giornalista e scrittore)
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