Pubblicata dalla Società italiana di storia dello sport, una ricerca che amplia ancora di più il terreno di studi su un periodo tragico per l'Italia e l'Europa
Per tracciare una panoramica sullo sport nazionale nel corso della Prima guerra mondiale è senz’altro emblematico prendere il via dal caso del “Battaglione lombardo volontari ciclisti automobilisti” al quale aderirono molti Futuristi, da Marinetti a Boccioni, da Sironi a Sant’Elia, che fu impiegato per un breve periodo anche sulla dorsale del Baldo, sopra il lago di Garda. Perché, anche se i mondi potrebbero risultare lontani, e certo in gran parte lo sono, quel Corpo può rappresentare l’ideale anello di congiunzione tra intellettuali e sportivi segnato dalla comune convinzione che la guerra si dovesse fare.
Come è noto, molti uomini di cultura, tra i più grandi nomi in Italia e in Europa, videro nel conflitto la possibilità di riscatto dalle “mollezze” di una vita borghese e in qualche modo indolente, un sussulto di vitalismo – in molti casi ben presto represso dalla vita di trincea e dai massacri ai quali assistevano o ai quali partecipavano giornalmente – foriero di un mondo “nuovo”. Dall’altra parte, il sistema sportivo nazionale fin da subito manifestò il proprio interventismo in nome e sulla scorta di un “antico e intimo convincimento” secondo il quale “lo sport (la pratica sportiva con tutto il suo corredo di mulinar di muscoli, ndr) preparava alla guerra”.
Posizioni certo incomprensibili, oggi, ma non allora. E di cui un quotidiano quale “La Gazzetta dello Sport” fu tra i massimi organi propagandistici. Conduce a queste riflessioni lo sfoglio e la lettura di un’ampia ricerca contenuta ne “Lo sport alla Grande Guerra” pubblicata dalla Società italiana di storia dello sport (info: andrea@galluzzo.it) frutto di un convegno fiorentino ricco di relazioni e spunti tra i quali alcuni interessano anche il Trentino che durante il conflitto, dal 1915, quando il Regno d’Italia dichiarò guerra agli Imperi centrali, al 1918, fu linea del fronte.
Una linea del fronte contrassegnata da vette fino ad allora quasi immacolate il cui paesaggio venne sconvolto dai combattimenti. Scontri dove furono impiegati anche gli Alpini ai quali venne fornito un “sostegno da associazioni quali il Club alpinistico italiano (Cai) e la Sat, dei cui 3.200 soci filo irredentisti in 500 riuscirono a varcare la frontiera (tra Impero austro-ungarico di cui il Trentino faceva parte e Regno d’Italia, ndr) e arruolarsi tra le fila delle forze armate italiane. Di quei 500, in 140 scelsero il corpo degli alpini”, è sottolineato in uno dei tanti saggi presenti nel volume.
Alpini che si resero protagonisti, nel corso delle operazioni belliche, anche di vere e proprie imprese alpinistiche. Furono circa 500 gli atleti, dirigenti e giornalisti sportivi morti durante il conflitto. “Lo sport alla Grande Guerra” raccoglie “racconti degli aspetti 'agonistici' delle performance di guerra – è scritto nell’introduzione – e quelli ricreativi per i militari delle competizioni sportivi”.
Fu ad esempio merito degli americani arrivati in Italia introdurre volley, basket e baseball, sport di squadra ritenuti importanti per cementare lo spirito di gruppo. Non mancano interventi sul calcio in trincea, il ruolo delle pubblicazioni sportive, la nascita dell’industria sportiva generata dal conflitto, il movimento sportivo cattolico, la guerra e la fatica (dai rimedi in trincea al doping). Un quadro variegato e originale, una ricerca che amplia ancora di più il terreno di studi su un periodo tragico della storia italiana ed europea.
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