Quaranta giorni senza il proprio account Facebook. Don Vincenzo Lupoli ci racconta la sua scelta
Con questo post, pubblicato su Facebook, don Vincenzo Lupoli, parroco trentunenne dell'Unità pastorale Sacra Famiglia e incaricato per la pastorale vocazionale diocesana, ha annunciato la temporanea chiusura del proprio account. Lo abbiamo raggiunto durante il suo “digiuno digitale”, che durerà fino al termine della Quaresima.
Don Vincenzo, in un mondo iperconnesso, la sua appare una scelta “coraggiosa”. Ci racconti come è nata l’idea…
È nata per caso, il giorno prima dell’inizio della Quaresima! Sentivo in me il desiderio di fare qualcosa che, almeno un poco, e per 40 giorni, cambiasse il mio stile di vita. Ho pensato a una vita più regolare, magari a controllare il cibo, a fare movimento, ma in fondo percepivo che queste cose non avrebbero poi più di tanto “pesato”! Ecco cosa veramente farebbe la differenza: 40 giorni senza Facebook! Chi ha dimestichezza sa che quando si ha un attimo di tempo lo si passa lì. E questo “legame” mi ha un po' spaventato.
Quali sono state le reazioni? Qualcuno ha scelto di seguire il suo esempio?
Molti hanno messo “mi piace” altri hanno condiviso il post, qualcuno in privato mi ha scritto che avrebbe fatto altrettanto. A dire il vero anche nel “mondo reale” qualcuno è rimasto colpito da questa scelta e la cosa mi ha incuriosito assai. Insomma a me non sembra di aver fatto una cosa così “strana”: non era mia intenzione attirare l’ammirazione della gente eppure lo stupore di tanti mi ha fatto capire quanto Facebook in verità ormai faccia parte della vita di molti.
Da giovane sacerdote, con il suo “digiuno” vuole lanciare un appello in particolare alle nuove generazioni?
Facebook, in verità, abbraccia anche altre stagioni della vita. Si trovano infatti anche adulti che, talvolta più adolescenti dei teenager, usano in malo modo questo strumento perdendo, appunto, il contatto con la vita reale. Perché è più facile consegnare a Facebook quello che non riesci a confidare ad un altro.
Io vorrei tanto che lo si considerasse come una piazza dove ci si trova, ci si ri-trova, ci si parla, si scherza, si ride, si piange, ci si batte per qualcosa e si esprimono le proprie, ma dove non ci si sente mai a casa e non ci si mette mai a “nudo”. Uno strumento, insomma, che deve essere usato per la testa.
Proviamo a pensare a una scena nella quale ci si imbatte spesso: al bar o al ristorante, persone intorno a un tavolo, ognuna con il proprio smartphone in mano), o comunque ben in vista. E se, mentre si sta parlando con il vicino arriva un messaggio, il telefono ha priorità assoluta. Quanto è vicino il punto di non ritorno. E se l’avessimo già raggiunto?
Ogni tanto si perdono di vista le priorità! È lo smartphone fatto per l’uomo o l’uomo fatto per lo smartphone? Non possiamo negare che oggi molte comunicazioni, anche importanti, sono tutte mediate dalla tecnologia. Quante persone sono state lasciate dal proprio partner proprio attraverso un sms. E capita che mentre qualcuno ti parla ti arrivi quel messaggio che cattura l’attenzione, rapisce il cuore. Forse una delle cose che dovremmo fare è evitare di dare informazioni importanti attraverso questi strumenti.
La cosa potrebbe diventare così: “Ciao, quando hai tempo ho bisogno di parlare con te!” Invece spesso ti vien detto: “Sono alla frutta, non ce la faccio più… che cosa posso fare?”. Solo che non c’è un suono diverso fra i messaggi rilevanti e quelli trascurabili, quindi appena il telefono suona cadi nella sindrome della reperibilità H24. L’avere un cellulare fa vivere alle persone l’esperienza dell’essere raggiungibile in ogni momento e in ogni luogo. Basta pensare a quando non c’è campo, molti vanno in una vera e propria crisi d’astinenza. Ecco perché, tornando alla domanda, il telefono ha spesso una priorità assoluta.
“Non è tempo per noi”, cantava Ligabue in una sua famosa canzone. Ora, verrebbe da dire, “non c’è tempo per noi”, travolti come siamo dalla smania di rispondere in tempo zero a una chat, postare cosa stiamo mangiando (ancor prima di averlo assaggiato), far sapere agli altri cosa stiamo facendo, dove stiamo andando…
Nell’epoca della privacy è una cosa strana l’esposizione continua del sé digitale e la condivisione attraverso i social network di cose riservate. Mi pare che ci siano cose della nostra vita che devono essere protette. Non per essere nascoste ma per essere custodite. Ci sono cose che ti appartengono, che sono tue e che non tutti comprendono. Mettere sempre tutto alla mercé di tutti è un po’ come far finta di esser tanto pieno di esperienze, emozioni, situazioni invece di ammettere il vuoto che ti abita dentro. Perché più uno proietta la sua vita sul palcoscenico di Facebook più significa che non ha nessuno con il quale condividere quello che vive. La solitudine è tra noi, citando un’altra famosa canzone, e spesso Facebook è un anestetizzante per nascondere questa condizione.
A Borgo (ne parliamo nel box) un istituto scolastico ha proposto agli studenti di privarsi del proprio smartphone nel tempo di Quaresima. All’iniziativa hanno aderito in una ventina. Viene da dire: pochi ma buoni…
Forse è stata proprio la rielaborazione di questa iniziativa, che avevo letto sui giornali, che ha fatto balneare in me l’idea di “chiudere” Facebook. Senza il cellulare la vedevo dura: anche l’agenda è finita in questo aggeggio. Ma penso proprio che sia una bella cosa. È come bonificare il terreno delle nostre relazioni, risanare, cercare altre forme e altri modi per contattarsi, incontrarsi, parlarsi. Siamo chiamati a dare più qualità alle relazioni umane più che a quelle virtuali.
Io mi accorgo che veramente la bellezza della vita non dipende dal pubblicare, dal condividere, dal chattare… E seppur per un tempo limitato, fare esperienza di questo, è divenirne consapevoli.
Don Vincenzo, oltre al “digiuno”, c’è una ricetta per tornare alla relazione, sfruttando la tecnologia in maniera positiva? Da qualche anno, ad esempio, alcune diocesi propongono riflessioni quotidiane quaresimali in rete.
Quando nella Messa facciamo nostre le parole del centurione: “di' soltanto una parola e io sarò salvato”, penso sempre che abbiamo continuamente bisogno di parole che salvano. Il nostro cuore ha bisogno di ascoltare parole cariche di salvezza, che non provengono solo dalla S. Scrittura ma anche per esempio da una bella canzone, da uno spezzone di un film, da una bella frase di qualche persona, da una fotografia. Ecco, in un mondo carico di parole sterili e vuote fa bene leggere una parola diversa.
A me piace questa opportunità che ci viene data dai social network! Quella di condividere “cose” che facciano bene al cammino dell’uomo. Ci sono momenti della giornata in cui leggere o vedere quello che ha condiviso qualcun altro ti fa bene. Secondo me, se tutti pubblicassero cose di valore tutti ne riceverebbero beneficio.
Altro aspetto, infine, è quello di ricordare il motivo per cui esistono i social network: mettere in contatto le persone. Nel contatto però non si può esaurire tutta la relazione: si rischia infatti di trascorrere più tempo a coltivare e portare avanti relazioni online “trascurando” chi in realtà ci sta a fianco. Dobbiamo quindi tenere ben presente il fatto che le nuove tecnologie in generale sono strumenti che migliorano la nostra vita di relazione, la estendono, ma non la sostituiscono.
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