Siamo abituati a parlare spesso di “evento storico”: dal mondo dello sport, dello spettacolo o altro, i mezzi di comunicazione ci segnalano con grande frequenza carrellate di eventi storici; al punto che ci si chiede se lo sono realmente e se lo sono proprio tutti. Perché è un dato di fatto: quando si usa troppo spesso una parola, essa rischia di non avere più il vero significato che invece dovrebbe avere; e così finiamo col dimenticare molto presto tanti eventi che ci erano stati presentati come storici.
Anche l’incontro di Cuba tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill, il 12 febbraio 2016, è stato salutato come storico. E qui forse è proprio vero: innanzitutto perché è il primo nella storia; autorevoli rappresentanti di Mosca e di Roma non è da ieri che si incontrano, ma non era ancora successo che si trovassero faccia a faccia proprio il Vescovo di Roma e il Patriarca di Mosca in persona.
Storico poi è anche il fatto che Francesco e Kirill abbiano firmato insieme una Dichiarazione: e oltre all’importanza di quanto è detto nella Dichiarazione, è ancora più importante che il Patriarca e il Papa abbiano voluto dirlo insieme, come fratelli.
C’è però una parola più precisa ancora per definire l’incontro di Cuba: certo, è storico, ma se lo guardiamo dal punto di vista cristiano si tratta senza dubbio di un fatto profetico, semplicemente perché “parla di Dio”, come dice il significato corretto di “profezia”.
In questo senso è assolutamente significativa la conclusione della Dichiarazione, quando il Papa e il Patriarca si affidano insieme alla Madre di Dio, perché tutti i cristiani siano riuniti “nella pace e nell’armonia in un solo popolo per Dio, per la gloria della Santissima e indivisibile Trinità!” (n. 30). Il fondamento dell’unità dei cristiani, cioè, sta in Dio stesso. Non si tratta di sentirsi fratelli per una questione di buon vicinato, o perché ci sono un po’ dappertutto cattolici che vivono a fianco di ortodossi (e di protestanti, anglicani, evangelicali e pentecostali, non dimentichiamolo!), e allora è il caso di far qualcosa insieme.
No, il fondamento dell’unità sta proprio in Dio: perché Dio è uno e trino, è l’armonia tra il suo essere “un solo Dio” e il suo essere “Padre e Figlio e Spirito”; e oltretutto, in Gesù facciamo esperienza di quel Dio che va continuamente a cercare l’uomo e che in modo definitivo si è unito alla sua creatura. Quindi, in altre parole ancora, il nostro Dio è un Dio di comunione: lui stesso è comunione, e lui stesso cerca continuamente la comunione con ogni uomo. Allora anche costruire comunione tra noi è professare la fede: dire “credo in un solo Dio Padre, Figlio e Spirito” va tradotto nel considerarci davvero tutti fratelli. Con tutti gli uomini (e la Dichiarazione firmata a Cuba sottolinea giustamente l’urgenza del dialogo con tutti i credenti di ogni religione – n.13), e a maggior ragione con tutti i cristiani.
Ecco perché l’incontro del 12 febbraio è una profezia: perché è un modo per raccontare il nostro Dio e per invitarci tutti a verificare quanto realmente crediamo in lui.
Tutto questo, è chiaro, non resta soltanto a livello teorico: nella loro Dichiarazione Kirill e Francesco affrontano quei temi di attualità che preoccupano tutti noi, e sui quali però si deve fare una riflessione comune tra le Chiese cristiane. Dalla persecuzione di molti cristiani al valore della libertà religiosa, dalla riscoperta delle radici cristiane dell’Europa alla centralità della famiglia, dal diritto alla vita fino al comune incoraggiamento ai giovani (tra i n. 8 e 23): su tutti questi temi si gioca la nostra testimonianza cristiana, perché “credere” in Dio Trinità ci spinge continuamente a “vivere” secondo la Trinità di Dio. Se non cerchiamo comunione tra noi, se non ci ostiniamo ad abbattere i muri che la nostra società continua a innalzare tra popoli, culture e religioni, se non cerchiamo in tutti i modi di guardare all’altro come a un fratello, la nostra fede in un Dio che è comunione di Padre, Figlio e Spirito resta quanto meno monca: bella a parole, ma insignificante nella concretezza.
“Non siamo concorrenti, ma fratelli” dichiarano insieme il Patriarca e il Papa (n. 24), cancellando mille anni d’incomprensioni e ostilità reciproche. Ma questo vale per tutti: nessun cristiano che cerchi autenticità può fingere di non vedere l’altro cristiano o l’altro uomo: siamo chiamati a costruire ponti, insomma, ce lo chiede Dio stesso. Francesco e Kirill ne sono convinti, e a Cuba hanno firmato insieme questa loro convinzione, affidandola a ciascuno di noi: “Possa il nostro incontro ispirare i cristiani di tutto il mondo a pregare il Signore con rinnovato fervore per la piena unità di tutti i suoi discepoli” (n. 6). Quasi riprendendo l’affermazione della Chiesa antica, secondo la quale “il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”: il sangue dei martiri di oggi, ma anche il sangue vivo di Kirill e Francesco e di moltissimi altri testimoni e costruttori silenziosi di unità tra i credenti possa diventare seme di nuovi cristiani, convinti che solo cercando a tutti i costi la comunione si può essere testimoni del Signore Gesù. (Sir)
don Cristiano Bettega
direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei
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