Il mondo cattolico trentino era ben formato e riuscì a reagire efficacemente allo scoppio della Grande Guerra. Mons. Celestino Endrici fu “come direbbe papa Francesco, un pastore con l'odore delle pecore”. Lungimiranti le vedute di papa Benedetto XV e di Alcide Degasperi. La posizione dei cattolici nel primo conflitto mondiale in Trentino e in Italia è stata al centro dell'attenzione della relazione “La memoria di una scelta” dello storico don Severino Vareschi, nel primo incontro di una serie di riflessioni dal titolo “A me che importa?”, organizzata dall'Azione cattolica e dalla Pastorale sociale della diocesi di Trento. Rifacendosi all'omelia tenuta dal pontefice, nel settembre 2014, a Redipuglia – “Caino direbbe: 'Sono forse io il custode di mio fratello?'” – gli incontri, presso il Centro pastorale “Beata Giovanna” di Rovereto, propongono delle riflessioni, in vista anche degli attuali conflitti, sul ruolo dei cattolici e della fede in un'ottica di diffusione della pace. Allo scoppio della Grande Guerra l'istituzione diocesana era ben avviata e articolata in maniera moderna, grazie anche all'appoggio dell'Austria. Il mondo cattolico laico, secondo Vareschi, era attivo nella vita sociale, si parlava di “azione cattolica” intesa inizialmente come “azione dei cattolici in base alla propria formazione”: il laicato era presente nelle istituzioni, per promuovere la giustizia, e in politica, con la nascita nel 1904 del Partito popolare del Trentino. Nello stesso anno era stato nominato vescovo mons. Endrici, che allo scoppio della guerra invitò i fedeli “ad esercitare in modo generoso le opere di misericordia spirituale e corporale” nei confronti dei bisognosi, a “costituire comitati per l'assistenza alle famiglie” e “a collaborare con la Croce rossa italiana”. Fu lui ad inviare i 234 parroci o cappellani dietro le loro comunità profughe (100.000 trentini in tutto) per assisterle. Mons. Endrici, secondo il relatore, non si limitò a dare una giustificazione “mistico-religiosa” della guerra, posizione invece dominante tra i vescovi, che invitavano il popolo a ritornare a Dio, poiché vedevano la guerra come un castigo permesso dalla mano paterna del Signore per correggere i suoi figli che si erano allontanati dalla Chiesa con le idee liberali. Benedetto XV, al pari del predeccessore Pio X, fu contro la guerra che definì “inutile strage”. Mantenne – come disse lui stesso nell'esortazione apostolica rivolta ai capi dei popoli belligeranti il 1 agosto 1917 – un atteggiamento di “imparzialità” per non favorire i cattolici di una parte rispetto alle altre e poter così, secondo Vareschi, avere mano libera per far istituire opere assistenziali e attuare scambi di prigionieri o feriti. Fece inoltre di tutto per “tenere fuori i cattolici da ogni bellicismo e nazionalismo esagerato”, ma con grande fatica, poiché questi – sentitisi emarginati dalla dominante cultura liberale – cercavano di dimostrarsi sudditi fedeli. Degasperi dal canto suo lesse la cecità dei governanti di non voler concedere l'autonomia ai singoli popoli e il venir meno dell'ordine morale come le cause principali del conflitto.
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