La storia dell’orso

Stimolante confronto tra comunicatori ed esperti

In Trentino l'espressione “raccontare la storia dell'orso”, declinata nei dialetti delle diverse valli, ha un significato ben preciso: si usa per definire una storia mirabolante, poco credibile, esagerata. Orbene, nel parlare dell’orso e degli altri grandi carnivori, come il lupo e la lince, storicamente presenti sull’arco alpino, poi scomparsi o ridotti numericamente all’osso, e in tempi recenti tornati a frequentare i nostri boschi, il rischio di prendere fischi per fiaschi o di finire per raccontare ai propri lettori “la storia dell’orso” è molto concreto e reale. Lo hanno spiegato con competenza e ricchezza di informazioni Claudio Groff, del Servizio Foreste e Fauna della Provincia Autonoma di Trento, e Filippo Zibordi, zoologo e comunicatore, per 13 anni collaboratore del Parco Adamello Brenta per il progetto di reintroduzione dell’orso bruno, a una platea attenta di giornalisti e comunicatori che lo scorso 2 febbraio hanno riempito la Sala Rosa del Palazzo della Regione a Trento per un corso di formazione promosso dall’Ordine regionale dei giornalisti.

Qualche esempio di “storie dell'orso”? La favola, che a suo tempo riempì le pagine dei giornali locali e scatenò vivaci dibattiti e scambi di accuse con lettere dai toni accesi, del lancio di vipere dall'elicottero in una certa valle del Trentino. O, in tempi recentissimi, la voce che si è diffusa sui monti Lessini, a cavallo tra la Provincia di Verona e il Trentino, secondo la quale la popolazione di lupi che si è là stabilita dovrebbe essere spostata: quasi si trattasse di pacchi! Una ipotesi subito smentita dagli esperti, perché “i lupi si spostano da soli, non hanno bisogno di essere spostati”.

Perché quando si parla di orso, piuttosto che di lupo, i mass media tendono a utilizzare titoli “caldi”, all’ enfatizzazione delle notizie, alla sovrabbondanza? “Forse – ha spiegato Zordini, ricorrendo a efficaci esempi presi da stampe antiche piuttosto che da moderne pubblicità – perché il lupo e l’orso sono animali ambivalenti, ci attraggono e ci spaventano allo stesso tempo”. L’orso, animale schivo e solitario, con il suo lungo letargo (da novembre alla metà di marzo, di norma) nell’immaginario collettivo viene associato alla morte e alla rinascita; si erge sulle zampe “perché non ha una vista molto sviluppata e cerca di identificare meglio quello che non vede bene”, ma questo suo atteggiamento viene percepito erroneamente come aggressivo. Ma è un orso anche il “Teddy Bear” che fa compagnia ai bimbi quando vanno a letto. Ripercorrendo come “caso studio” la storia del progetto di reintroduzione dell’orso nelle Alpi, noto come “Life Ursus”, sulle cui caratteristiche scientifiche si era soffermato dettagliatamente Claudio Groff, Zibordi ha individuato, attraverso una cospicua rassegna stampa, la creazione di circoli viziosi, corto circuiti e strumentalizzazioni tra mass media, politica e popolazione. E ora, con la graduale espansione della presenza del lupo, arrivato, come visto, nei Lessini, la sensazione degli esperti è che si possa ripetere un copione già visto con la reintroduzione dell’orso. Come uscirne? Zibordi suggerisce ai tecnici di uscire dalla loro “torre d’avorio” e di essere chiari, semplici, disponibili nel dare informazioni; ai giornalisti di rivolgersi “a professionisti e a enti accreditati”, come amministrazioni pubbliche, università, parchi naturali, musei. Alla base deve esserci un rapporto di fiducia, fondato sulla trasparenza da una parte e sulla serietà dall’altra, ha concluso Zibordi, ricordando che esistono un Decalogo per comunicatori sui grandi carnivori e Linee guida per la comunicazione faunistica, che chi si occupa di informazione farebbe bene a consultare, quando deve parlare o scrivere di animali selvatici che, in sé, “non sono né buoni né cattivi”.

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Bando alle ciance: gli orsi abitano da sempre dove li porta Madre natura quindi. lasciateli in pace.

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