E' uno dei più antichi edifici ancora in funzione della città la sacristia capitolare della cattedrale di Trento: lunedì si “svela” dopo il restauro di due anni
Una sacrestia non è mai solo un locale di servizio. E' un ambiente accogliente di dialogo, testimone d'incontri informali, spesso decisivi. Il rilievo vale tanto di più per la sacristia capitolare della Cattedrale (potremmo chiamarla “la madre di tutte le sacristie”?) che nel corso della storia ha visto la frequentazione di tanti preti, principi vescovi e canonici, chierichetti e ministri dell'Eucaristia e custodisce quindi una storia lunga, fin dai secoli – come vedremo – più lontani.
Lunedì 1 febbraio alle 16 con la presenza dell'Arcivescovo Luigi Bressan il Capitolo della Cattedrale presenterà la conclusione dei lavori di restauro, anticipati a Vita Trentina dal decano dei canonici, mons. Lodovico Maule: “Sorge dove stava l'antica chiesa di palazzo, ha una storia più antica della stessa cattedrale. E' un ambiente imponente, di particolare bellezza – ci spiega – che si trovava però da tempo in una condizione quasi di pericolo, con i mobili antichi a rischio di crollo. L'intervento – condotto insieme alla Sovrintendenza provinciale per la sua competenza – ci ha portato quindi a restaurare i mobili, risistemare le strutture murarie e posizionare il pavimento in pietra rossa di Trento”. Risaliva agli anni Cinquanta un approssimativo ripristino del pavimento, che ha “svelato” sotto terra fra l'altro alcuni scritti dei canonici dell'epoca e perfino una scheggia di bomba caduta nelle vicinanze. Come si usa, i reperti sono stati sepolti a fine lavoro dentro una cassetta assieme ad altre testimonianze dell'epoca attuale, memoria per i posteri.
Qual era la funzione di questi locali? “Era detta sacristia delle reliquie perchè custodisce in un altare le memorie dei santi. E' anche detta sacristia sacerdotale, perchè su di essa gravavano non solo i canonici ma anche tanti sacerdoti; quindi abbiamo un gran numero di arredi sacri – dalle tovaglie ai paramenti sacri – che trovavano collocazione in questi grandi armadi. Come nota curiosa diciamo che i cassetti presenti complessivamente in queste due sacrestie (quella vicina non è stata per ora restaurata) sono ben 720, di pregio artigianale: abbiamo cercato di valorizzare le finiture di questi mobili anche nell'illuminazione dopo il restauro che ci offre ora un ambiente molto suggestivo.
“E' stato un lavoro articolato e difficoltoso partito nell' aprile 2015 – spiega il geom. Bruno Rizzoli, regista appassionato – con l'intervento sul basamento delle armadiature e sul pavimento. Sono stati poi posati i marmi delle pietre rosse e bianche di Trento fino a tutte le necessarie opere di finitura, gli impianti termoidraulici e elettrici. Il restauro dei mobili è stato condotto con maestria dalla ditta specializzata Orsingher”. Con soddisfazione Rizzoli ci mostra il tecnologico impianto di videosorveglianza, anche a fini antincendio, e soprattutto il quadro dei comandi – affidati ai bravi sacristi del Duomo – che governano l'illuminazione del Duomo: dalle luci richieste per i pontificalil solenni a quelle indicate per i riti funebri.
Il restauro è stato anche occasione per alcuni sondaggi archeologici che hanno offerto alcune conferme importanti, non sempre facili da riconoscere viste le sovrapposizioni d'interventi in epoche successive. Ci spiega l'arch. Michele Anderle: “Possiamo dire che quest'edificio è antichissimo, forse il più antico edificio esistente a Trento ancora in funzione, conservato pressoche integralmente. Fu consacrato nel 1071 dal vescovo di Trento Enrico 1 e dal vescovo di Feltre Tiemone nello stesso giorno, sull'altare di San Giovanni e di San Biagio. Aveva un accesso esterno sulla facciata occidentale, con ingresso che probabimente saliva da piazza Duomo”. Non aveva soltanto un utilizzo per il culto ma serviva inizialmente anche come sala di rappresentanza per il Vescovo, il cui palazzo era nell'immediata vicinanza. “Esisteva una vera e propria sala del trono – spiega Anderle – adibita poi nel 1701 a cappella di palazzo, molto importante perchè conservava il tesoro ma anche l'archivio e la biblitoeca. Aveva un ruolo simbolico significativo”. Nel 1212, con la costruzione del Vanga, l'edificio viene collegato al presbiterio del Duomo con una scala monumentale di cui sopravvivono larghe tracce, creando un passaggio che rimase unico fino al 1564 almeno. Una situazione che probabilmente rimase fino ai primi decenni del Seicento”.
La continuità secolare di questi locali trova eco nella testimonianza dallo storico Mariani che addirittura riteneva la cappella inferiore luogo della sepoltura di Vigilio, ipotesi poi non confermata da mons. Iginio Rogger.
I sondaggi archeologici sotto la sacristi hanno presentato una situazione complessa, anche perchè nel 1739 le due sacrestie sono state sventrate e ricostuite. “Nella parte absidale – spiega Anderle – abbiamo trovato una muratura romana, in fase con l'asse stradale, sulla quale si sono sovrapposte costruzioni successive, difficili da interpretare”. Le indagini archivistiche potranno forse dire qualcosa anche sui due affreschi rinvenuti che potrennero essere le croci consacratorie dell'antica cappella di San Vigilio.
Una storia non “svelata” completamente, dunque, eppure esemplare di quel clima spirituale – lo ricorda anche la fontana in marmo con l'acqua, simbolo battesimale – che ogni sacristia custodisce. “Sono luoghi ancora vivi, dove giustamente i fedeli vengono in ricerca anche di una parola o di un aiuto”, conclude don Maule che ricorda peraltro come nella sacrestia capitolare si tennero in alcune epoche anche l'elezione del Vescovo da parte dei canonici: “Se queste mura potessero parlare….”
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