Non per fare dell’allarmismo inutile, ma la situazione generale è più seria di quanto cerchino di proporci le baruffe della politica. La Libia, il problema dell’Unione Europea alle prese con la crisi dell’immigrazione, le turbolenze sui mercati finanziari, sono temi che dovrebbero inquietare una opinione pubblica ben più del chiedersi se il sostegno di Verdini al governo inquini o meno l’identità del partito democratico.
Cominciamo con la nostra famosa “quarta sponda”, quella Libia un tempo nostra colonia e poi problema sempre risorgente, non da ultimo perché porto di partenza delle migrazioni selvagge verso l’Italia. Come sappiamo il paese è preda di una guerra civile che lo sta distruggendo, ma continua anche a produrre petrolio che, per quanto deprezzato, è sempre una risorsa importante. La comunità internazionale ha provato a spingere per la ricostituzione di una autorità statale centralizzata, ma al momento non c’è ancora riuscita sebbene sembri essere vicina al traguardo. Il fatto è che quel tipo di ricostruzione non serve tanto a dare un futuro alla pacificazione nazionale, quanto piuttosto a consentire la copertura ad un intervento armato da parte di una coalizione di paesi.
L’obiettivo di questo intervento può anche essere condivisibile, perché si tratta di impedire che l’Isis, in difficoltà in Siria, si impadronisca della Libia facendone una base per i suoi piani futuri, che possono tanto interessare una penetrazione in Africa verso sud, quanto lo stabilire un ponte per attacchi all’Europa. L’Italia è, per evidenti ragioni geografiche, in prima linea e dunque sembra sarà parte della coalizione che, almeno a stare ai si dice, dovrebbe diventare operativa a breve. Come avverrà questo? Ci sarà un passaggio parlamentare per valutare il nostro intervento? Quali saranno gli obiettivi dell’azione? Come se ne sosterranno i costi? Che ruolo ricopriremo in una coalizione in cui i nostri probabili partner, USA, Gran Bretagna, Francia, hanno in genere un peso maggiore del nostro?
Come si vede sono domande non banali e sicuramente se le stanno ponendo in qualche stanza dei gruppi dirigenti del paese. L’opinione pubblica però è tagliata fuori e la si lascia preda di dibattiti da talk show, con conseguenze che non ci paiono auspicabili.
Del resto anche l’altro grande tema che in questo momento affatica l’Europa, cioè la gestione della politica di contenimento delle ondate migratorie (perché di questo si tratta), è abbandonato alle prese di posizione inutilmente magniloquenti. Da un lato infatti ci sono quelli che agitano lo spettro di invasioni che ci distruggeranno, per cui è opportuno che ogni stato si barrichi. Dal lato opposto ci sono quelli per cui bisogna salvare lo spirito della libera circolazione degli uomini, un po’ perché questo fa parte della nostra “civiltà”, un po’ perché altrimenti si mette a rischio anche la libera circolazione delle merci con i costi che ciò comporta.
In realtà il problema è duplice. In primo luogo bisogna arrivare ad una efficace politica di dispersione e distribuzione su tutta l’area della UE dei richiedenti asilo. Solo così si potrà efficacemente costruire il filtro alle frontiere di approdo, perché diventerà importante per quei paesi di sbarco bloccare e identificare chi arriva, essendo questo il modo per smaltirli fuori dal proprio territorio proprio grazie alle “quote”. In secondo luogo è necessaria una politica di acculturazione veloce di queste persone, che devono essere messe in condizione di integrarsi nei sistemi di vita europei. Si può farlo con il rispetto dovuto a componenti culturali diverse, ma si deve lasciar perdere quello che sarebbe il rispetto per tradizioni di arretratezza che componenti povere o semplicemente sradicate dei migranti portano con sé. Infine il sapere che se si approda in Europa non è poi detto che si possa andare dove si vuole, alleggerirebbe il richiamo che esercitano i sogni legati alle migrazioni finali verso certi luoghi che si credono più appetibili.
Si tratta di temi che richiedono una riflessione coraggiosa, specie in un contesto di crisi economica e finanziaria che è ancora lontana dal trovare soluzione, perché sono interventi “costosi” da più di un punto di vista. Non si riusciranno a governare le tensioni che simili fenomeni inducono nelle popolazioni senza un impegno della politica a “fare sistema” e un impegno degli strumenti che orientano l’opinione pubblica a sostenerlo. Cose che si fatica a vedere spuntare all’orizzonte.
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