E alla fine, come era nelle cose, la discussione sulle unioni civili è arrivata al momento decisivo. Il dibattito che ci sarà nei prossimi giorni, a partire dal ddl Cirinnà sulla proposta di regolamentazione delle unioni anche tra persone dello stesso sesso, sarà di grande importanza sia nel metodo che nel merito. Si vedrà, infatti, se i nostri rappresentanti (tutti) riusciranno a sviluppare un confronto (anche serrato) che metta al centro davvero il bene delle persone, la capacità di riconoscere a ogni realtà sociale la propria specificità, l’impegno a rimuovere situazioni di discriminazione e potenziale violazione dei diritti fondamentali. In tale prospettiva il metodo del confronto sarà importante quanto il contenuto. Un tema così delicato non può essere affrontato in base a calcoli politici, né tanto meno può risolversi in un muro contro muro o essere derubricato a “questione di coscienza”. L’unica strada praticabile è quella di un confronto che sappia riconoscere la complessità del tema: nel rispetto sostanziale per le sofferenze che caratterizzano molte delle persone interessate, ma nella consapevolezza che la questione tocca alcuni valori umani fondamentali, che vanno riconosciuti come tali e che non sono certo prerogativa esclusiva dei cattolici. Solo per questa via – e non “scavalcando” i diritti fondamentali di ogni persona, a partire dalle più fragili come sono i bambini – una legge potrà contribuire in modo determinante alla costruzione di una società effettivamente inclusiva.
Non è certo un caso che numerose voci, anche laiche, si siano levate in dissenso con l’ipotesi di introdurre la “stepchild adoption”, come viene definito l'istituto che consente a uno dei membri di una coppia – anche omosessuale – di essere riconosciuto come genitore del figlio, biologico o adottivo, del compagno.
Tutti, oramai, sono concordi nel riconoscere la necessità di meglio definire e tutelare i diritti individuali all’interno di una coppia, anche dello stesso sesso. Accanto a questo, però, rimane l’esigenza di evitare qualsiasi confusione tra il matrimonio e l’unione civile (che non deve essere un matrimonio camuffato). Questo passa attraverso il riconoscimento dell’unione civile come formazione sociale, senza però alcun riferimento al diritto di famiglia. E l’elemento che più rende esplicita la differenza strutturale tra le due realtà è proprio quello della figliolanza.
A seguire il dibattito di queste settimane, invece, appare il volto di un'Italia ancora dominata da un trasversale e preoccupante adultocentrismo, in cui pare nettamente più forte il supposto diritto dei singoli ad avere un figlio (il figlio non è un diritto né per le coppie etero, né per le coppie omosessuali) che non quello del figlio ad avere un padre e una madre. La vera preoccupazione dovrebbe invece essere volta ad affermare un’attenzione primaria ed essenziale nei confronti dei bambini, che sono poi quelli che subiscono il costo delle nostre scelte. Tale priorità dovrebbe portare ciascuno a negare non solo la possibilità (anche remota, ma che sarebbe di fatto introdotta con la stepchild adoption) della maternità surrogata (il cosiddetto “utero in affitto”) contro la quale si sono schierate anche donne del movimento “Se non ora quando”, ma anche qualsiasi tipo di confusione sulle responsabilità e sui ruoli genitoriali all’interno di una coppia. E non basta certo dire che la realtà va già in questa direzione per decidere che debba essere sancita per via legislativa.
Di fronte a tali esigenze dispiace notare che, per perorare la propria causa, qualcuno vorrebbe riesumare vecchi steccati ideologici riducendo il dibattito a una questione tra cattolici e laici.
In ballo c’è molto di più. C’è il riconoscimento dei diritti fondamentali di ogni persona, la promozione del valore del matrimonio come istituto essenziale della società e prima di tutto la preoccupazione per il futuro di ogni bambino e bambina ai quali deve essere garantito potenzialmente ciò di a cui hanno diritto: un padre e una madre.
Diego Andreatta
e i direttori dei settimanali del Nordest
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