Con che Europa ci stiamo confrontando?

Forse una parte dei lettori, abituati agli euro-entusiasmi italiani di quando si voleva che l’Italia fosse a Bruxelles il primo della classe, rimarrà spiazzata dall’attuale aspro confronto che sembra essersi aperto fra il nostro governo e i vertici della UE. Lo sarà meno se considererà che si tratta solo della punta dell’iceberg di una crisi che coinvolge ormai da tempo gli assetti dell’Unione e che sinora è sempre rimasta sotto la superficie. Perché sia diventata l’Italia il bersaglio su cui scaricare questa crisi è quanto si deve cercare di capire.

In realtà i problemi sul tappeto sono abbastanza facilmente individuabili, proprio grazie all’attacco che l’establishment brussellese ha sferrato contro il nostro paese prendendo a pretesto alcuni interventi un po’ sopra le righe del premier Renzi. Va infatti ricordato subito che il presidente del consiglio italiano non è il primo fra i capi dei paesi partner a criticare i vertici UE. Basterebbe ricordare le intemerate a suo tempo della signora Thatcher, a partire dal suo famoso grido ad uno dei vertici “voglio i miei soldi indietro!”, che poi sono proseguite in varie forme più o meno sino ad oggi. Ma siccome non si vuole l’uscita di Londra dall’Unione, si è elegantemente fatto finta di niente.

Dunque non è per le “critiche” di Renzi che Junker è sceso prima direttamente in campo e poi ha lasciato mano libera ai burocrati del suo staff. Il fatto è che quelle critiche toccano due punti delicati: il primo è la questione del controllo economico della Commissione sui conti degli stati; il secondo è il tema del contributo che ogni stato deve dare alla Turchia perché si tenga i profughi siriani.

Il primo punto riguarda oggi il tema del sistema bancario, ma anche più in generale quello del controllo sugli “aiuti di stato” alle carenze delle economie nazionali. Qui oggettivamente la UE non si trova in buona posizione, perché se la prende con gli aiuti che in Italia si starebbero predisponendo per non far saccheggiare il nostro sistema creditizio, dopo che Germania, Spagna e altri hanno sistemato le loro magagne con aiuti comunitari prima del varo di normative che li vietavano. Certo i nostri passati governi non hanno fatto bene a non profittare allora di alcune opportunità in nome di un orgoglio nazionale che si pensava potesse giovarci nella competizione mondiale. Tuttavia bisognerebbe anche riconoscere che chi ha in passato preso al volo le buone occasioni, peraltro generate, come nel caso delle banche tedesche, da speculazioni sul debito greco, oggi dovrebbe avere il pudore di non ergersi a maestrino: va ricordato al presidente degli eurodeputati del PPE, il tedesco Weber, ma anche agli italiani membri di quella compagine che non lo hanno rimbeccato.

La questione è ovviamente che se la Commissione viene privata del suo potere di indirizzo e controllo in una fase di turbolenze come quella attuale perde di significato. I suoi burocrati non ci stanno, ma, anziché inventarsi un ruolo più adeguato al momento, si barricano nel compito di censori delle ortodossie correnti, sostenute dalle paure tedesche (e di altri) di dover pagare i conti delle “cicale” europee. Purtroppo in questa rappresentazione farsesca della realtà, l’Italia è la “maschera” più facilmente credibile per quel ruolo.

Il secondo problema, che però concorre ad illustrare il primo, è il rifiuto italiano a caricare sul proprio bilancio più di 200 milioni di euro per sostenere la Turchia nell’asilo ai profughi. Qui non ci sarebbe bisogno di grandi esperienze di psicologia politica per capire che un paese che da anni sostiene da solo l’impatto con notevoli flussi migratori ha qualche difficoltà a sostenere invece le spese della Turchia, solo perché quei profughi sono destinati alla rotta balcanica che li porterà nell’Europa del Nord. Si può ben capire che per Renzi sia difficile difendere davanti ad una opinione pubblica già sempre più euroscettica una procedura di questo genere, aggiungendo che così farebbe un enorme regalo a tutti i suoi avversari, da Salvini a Grillo.

Con questo non sosteniamo affatto che buttarsi a corpo morto nella polemica con Bruxelles sia una gran strategia: l’Italia ha bisogno di un certo ruolo nella Ue e le sue debolezze, che risalgono molto indietro e che non sono imputabili a questo governo, le suggeriscono di muoversi con cautela. Per fare questo ci sarebbe però bisogno di una “solidarietà nazionale” che latita nella politica di oggi dove dominano vedute molto corte.

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