“E’ necessario reintrodurre nei piani scolastici l’educazione alimentare e ambientale per far comprendere che il cibo ha un valore, anzi tanti valori”
Lotta allo spreco alimentare e per il diritto al cibo. Uno degli obiettivi globali lasciato in eredità da Expo 2015 potrebbe essere tra i buoni propositi da mettere in pratica per il nuovo anno. Lo stesso richiamo è stato lanciato nella Laudato Si’ da Papa Francesco che nell’enciclica punta il dito contro la cultura dello scarto e il consumo estremo e selettivo di alcuni. “Sappiamo – scrive Francesco – che si spreca approssimativamente un terzo degli alimenti che si producono, e il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero”.
Le cifre dello spreco alimentare mondiale sono da capogiro: 1,3 miliardi di tonnellate di cibo ogni anno finiscono nella pattumiera prima ancora di arrivare nel piatto. Milioni di tonnellate di rifiuti che, se recuperati, potrebbero combattere la malnutrizione nel mondo.
Come contrastare il fenomeno, come evitare lo spreco di cibo che solo in Italia costa 8,7 miliardi di euro, in media 7 euro a famiglia ogni settimana?
Ne abbiamo parlato con l'agroeconomista Andrea Segrè, tra i massimi esperti in materia. Presidente della Fondazione Edmund Mach-Istituto di San Michele all'Adige, fondatore di Last Minute Market e del primo Osservatorio nazionale sugli sprechi alimentari domestici (Waste Watcher), Andrea Segrè è autore di numerosi saggi sul tema, l'ultimo dal titolo “Cibo” per il Mulino.
Professor Segrè, che differenza c'è fra spreco e rifiuto?
“Se, ad esempio, getto via un vasetto di yogurt in scadenza perché per qualche ragione non mi fido a mangiarlo, anche se è ancora consumabile, questo è propriamente spreco: nella pattumiera finisce il vasetto di plastica e il suo contenuto. Viceversa se mangio lo yogurt e butto via la confezione con il suo imballaggio in cartone e alluminio, questo è un rifiuto, che richiede politiche di intervento: dalla raccolta differenziata al riciclo. Il miglior rifiuto e quindi per analogia il miglior spreco è quello che non si produce. La parola d'ordine è prevenzione”.
Una volta i nostri nonni erano molto attenti a non gettare nulla del cibo avanzato. Cosa ci spinge oggi a sprecare tanto?
“In passato mancava forse un’attenzione opportuna alla sicurezza alimentare, ma c’era più una cultura dell’usa e riusa, il cibo era inserito in un sistema codificato. Poi qualcosa è cambiato. Nel mio ultimo libro ho identificato il passaggio con una data: era il 1963 quando l’economia domestica, la disciplina impartita alle medie, venne sostituita con le applicazioni tecniche. Un segno dei tempi, del boom economico e della crescita demografica. Da allora, e sono passati oltre 50 anni, le cose sono molto cambiate”.
Cosa è successo?
“La nostra società del consumo ha incominciato a considerare il bene alimentare come una merce qualsiasi: la puoi sostituire, la puoi cambiare, la puoi sprecare. Non diamo più valore al cibo. Quindi, nell’ottica della prevenzione, che peraltro è il primo punto del Piano nazionale di prevenzione sprechi alimentari (Segrè ne presiede il comitato scientifico, ndr), oggi è necessario reintrodurre nei piani scolastici l’educazione alimentare e ambientale per far comprendere che il cibo ha un valore, anzi tanti valori (nutrizionale, ambientale, sociale, culturale…) ed è un diritto per tutti”.
E sprecarlo comporta danni ecologici rilevanti.
“Certo. Insieme alle tonnellate di cibo gettato nel cassonetto perché imperfetto finiscono anche tutte le risorse naturali e umane che sono state utilizzate per produrlo e distribuirlo: ettari di suolo, ettolitri di acqua, chilowatt di energia, lavoro umano e capitale, oltre alla produzione di tonnellate di anidride carbonica con conseguenze sui cambiamenti climatici. C'è un duplice scarto di cui non abbiamo la totale percezione: se buttiamo via un prodotto anomalo, ma ancora buono, sprecando risorse naturali, siamo portati a non accettare il diverso, a scartare il prossimo. La pattumiera è diventata la metafora della nostra società”.
Lei porta avanti da tempo il progetto Last Minute Market. Di che si tratta?
“E' un laboratorio di ricerca applicata dell'Università di Bologna che ha attivato un sistema di recupero a km zero degli alimenti ancora buoni e invenduti dei supermercati a beneficio dei più bisognosi. E' la potenza dell'economia del dono che produce relazioni umane tra chi ha un'eccedenza e chi ha una carenza. E’ un modello replicabile che coniuga la sobrietà e la sostenibilità con la solidarietà”.
Recupero e dono da soli bastano?
“No, sono fondamentali la prevenzione e l'educazione alimentare. In questi anni sono così partite campagne di sensibilizzazione come, ad esempio, ‘Un anno contro lo spreco’, che ha portato ad una risoluzione dell'Europarlamento contro lo spreco”.
Un suggerimento per non sprecare?
“Si torna sempre allo stesso punto: per non sprecare, così come per mangiare bene e sano, si deve essere educati. Dobbiamo riscoprire la consapevolezza del rapporto cibo-salute, cibo-ambiente, cibo-relazioni. Inoltre possiamo esercitare il nostro potere d'acquisto scegliendo i prodotti in modo responsabile senza farci guidare dalla pubblicità per arrivare ad incidere sui processi industriali per un cibo di buona qualità e alla portata di tutti”.
In Italia, patria delle eccellenze alimentari, non dovrebbe essere difficile…
“Oggi si parla di chef stellati, di nicchie e presidi, e dall’altra parte c’è il cibo spazzatura che nuoce alla salute dell’uomo. Io parlo invece di un ‘cibo medio’. Ce l’abbiamo già: è quello della dieta mediterranea equilibrata”.
(a cura di)
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